Be Bankers

nel febbraio 1345, spiegando ai propri cittadini di non essere più in grado di restituire i propri debiti e «commutava i relativi titoli in buoni non redimibili sui quali s'impegnava a pagare un interesse annuo perpetuo del cinque per cento». Fu un fallimento non solo economico. Ma etico e psicologico. Crolla la finanza dei “giganti dai piedi d’argilla”, come aveva definito il sistema dei banchi fio- rentini Armando Sapori. E crolla l’im- magine di una città che rappresentava, agli occhi di tutti, il principale motore finanziario europeo. Ma Firenze riuscì, nonostante tutto, a reagire, a conservare e addirittura a rafforzare il suo ruolo di capitale internazionale del denaro. In primo luogo, come nota acutamente Lorenzo Tanzini, grazie al «dinamismo dell’imprenditoria cittadina rimasto im- mutato nonostante le difficoltà, tanto da alimentare continuamente la rico- struzione di nuove forze della finanza privata via via che le vecchie cadevano vittime degli eventi». Molti erano i pa- racadute cui si affidarono. La ricchezza immobiliare, innanzitutto, case, terre, vigneti ecc. Il settore trainante dell’industria tessile, come abbiamo visto, modificò a fondo il suo assetto, con una sterzata produt- tiva verso il settore del lusso. La peste nera del 1348, poi, incise col suo effet- to paradossale di aumento dei salari a fronte di una diminuzione dell’offerta dimanodopera. Inuna situazione in cui i prezzi non crebbero in egual misura e, per fornire un solo esempio, per almeno vent’anni dal 1350 al 1370 gran parte dei lavoratori dell’edilizia, la totalità di quelli senza famiglia a carico, non solo ebbero modo di sfamarsi senza pro- blemi ma anche di spendere in affitti e abbigliamento; una buona parte di loro potevano guardare senza sognare a moderati desideri di natura voluttuaria. Con, infine, una vera e propria strategia della fiduciamessa in campo dal Comu- ne, con una nuova gestione del debito pubblico, che ebbe anche risvolti di tipo psicologico, di recupero di un’immagi- ne ormai sbiadita se non del tutto cor- rotta; e un’opera dimediazione, almeno fino alla rivolta dei Ciompi del 1378, tra le aspettative dei ceti dei lavoratori, le ambizioni degli artigiani e gli obiettivi dei grandi capitalisti. Rendere più flessibili gli strumenti di intermediazione finanziaria fu l’ultima carta vincente. Per capacità innovativa e per le prospettive di lungo periodo i cui effetti appartengono al nostromodo di concepire la finanza e il credito. Si modificano le teste degli imprenditori. Capirono che il mondo finanziario, così come era stato creato, proprio non fun- zionava. C’era bisogno di aria nuova. L’idea più bella venne a unmercante di Prato. Un figlio di questi tempi disgra- ziati, che aveva perso i genitori per la peste ed era andato a far fortuna adAvi- gnone. Si chiamava Francesco Datini. Un personaggio a tutto tondo, che nel suo enorme epistolario spiegava cosa significhi “ragionare damercanti” , vale a dire «la ragione applicata nelle cose dellamercatura». Capiva, conun lavoro di sperimentazione che trovava nell’e- sperienza il suo fulcro, che si poteva immaginare qualcosa di completamen- te diverso da ciò che era stata la banca fino ad allora, anelastica, ingombrante, poco adattabile. Un organismo di gestione più piccolo ma più complesso, suddiviso per com- partimenti stagni. Un sistema d’azien- de, l’antesignano della holding che, al momento della massima espansione, era organizzato nelle compagnie di Avignone, Prato, Firenze, Pisa, Genova e Catalogna (Barcellona, Valenza eMa- iorca); e comprendeva anche il settore produttivo (Arti della Lana e della Tinta a Prato) e la compagnia del banco a Fi- renze, durata solo pochi anni. Modello che sarà ripreso con successo, e con un surplus di complessità, dai banchi fio- rentini, come quello dei Medici. Con un personaggio dalle qualità sorprenden- ti, come Cosimo il Vecchio, il creatore della fortuna della casa Medici e di suo nipote Lorenzo. 103

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