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Ma il sistema veniva da un paio di anni di forte crescita. Certamente e c’è un aspetto fisiologico nella riduzione degli impieghi dovuto al fatto che il denaro è divenuto più caro di conseguenza le imprese preferiscono utilizzare la loro liqui- dità per le loro esigenze finanziarie piuttosto che attivare linee di credito bancarie. Quanto sta accadendo denota che il contesto econo- mico è divenutomeno positivo, d’altra parte non è neppure così sorprendente. La crescita economica soffre a causa di un’ inflazione al 10%, dei tassi che aumentano dallo 0 al 4%e della Cina che rallenta. Tutto questo sta causando un rallentamento negli investimenti e una diminuzione della domanda di posti di lavoro, il che è motivo di preoccupazione, considerando che il no- stro Paese necessita d’investimenti. Un ral- lentamento di quest’ultimi potrebbe portare l’Italia a rischiare di stagnare nuovamente. In realtà, c’è anche un terzo elemento che sta contribuendo a questa situazione. Quale? Non tutte le banche presentano lo stesso livello di capitalizzazione e disponibilità di liquidità, al contrario in precedenza era ab- bondante e a buon mercato. Quindi questa riduzione degli impieghi dipende da una minore domanda delle imprese ma anche da una minore offerta del sistema bancario. Si rischia un credit crunch? Il rischio c’è e credo che diventerà più visi- bile nel tempo. Comunque la situazione non è mai una fotografia statica. Tutti speriamo che la Cina risolva i suoi problemi e che ci sia una crescita degli scambi internaziona- li. È auspicabile una normalizzazione dello scenario geopolitico e minore tensione sulle materie prime, un’inflazione che si stabilizzi e aspettative di tassi che restino sostanzial- mente basse. Tutto ciò può creare un contesto in cui lo scenario può migliorare. Poi dipenderà anche dall’approccio alla po- litica fiscale che si decide in Europa, uno dei fattori che sta agevolando gli Stati Uniti è che, a fronte di una politica monetaria strin- gente, hanno fatto una politica fiscale molto espansiva. Questo ha portato al downgrading del loro debitoma anche al più grande piano d’investimenti che sia stato mai fatto. In Eu- ropa, invece osserviamo che la politica mo- netaria restrittiva si associa ad una politica fiscale restrittiva. Non possiamo scaricare la responsabilità sulla BCE, considerando che il suo obiettivo principale è mantenere sotto controllo l’inflazione. Le previsioni fosche sull’economia per il momento non stanno compor- tando un aumento dei fallimenti. I tassi di default non sono stati mai così bassi come negli ultimi due anni, siamo in una situazione assolutamente benigna. Possiamo aspettarci un aumento dei default ma si trat- terebbe di un andamento fisiologico. I primi segnali già li vediamo nel segmento delle PMI che sono più vulnerabili, probabilmente le difficoltà arriveranno successivamente nel segmento retail (prestiti al consumo, mutui) e da ultimo coinvolgeranno le imprese più forti e strutturate. Non ci aspettiamo, però, la stessa ondata di fallimenti che si verificò all’indomani della crisi finanziaria del 2008. Attualmente le imprese sono gestite inmodo più efficace e presentano una solidità finan- ziaria maggiore rispetto a quanto accadesse nel decennio precedente. Aquel tempo erano di gran lunga le più indebitate d’Europa e praticamente tutto lo stock del loro debito era a breve. Oggi invece la leva è praticamente in linea con quella delle altre aziende euro- pee e buona parte del debito è stata collocata sul medio-lungo termine, anche attraverso le iniziative prese durante il periodo critico e difficile della pandemia. L’altro fattore è che negli ultimi anni le banche hanno dato credito in modo molto più prudente rispetto a quanto fosse stato fatto in precedenza. Per tutti questi motivi non vedremo quel deterio- ramento così profondo e rapido come quello che abbiamo sperimentato in passato. B E | B AN K E R S 39
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