Be Bankers
Trent’anni fa, l’approccio al credito deterio- rato da parte degli istituti bancari era molto “tradizionale”. Complice il fatto che i ricavi dell’attività bancaria eranomediamentemol- to alti e i volumi di ammaloramento più con- tenuti (anche per regolemeno vincolanti), le banche avevano i loro uffici interni che erano la gioia degli Studi Legali convenzionati a cui davano a ripetizione incarichi per il recupe- ro giudiziale. Le percentuali di recupero e i relativi costi non erano un grosso problema o quanto meno non erano sentiti come tali. Solo alla fine degli anni ’90 del secolo scor- so, due banche sistemiche affrontarono la questione con una visione più “industrializ- zata”: Intesa, con la sua bad bank “IGC” e Unicredit, con il suo servicer “UCCMB”. Ho volutamente utilizzato termini diversi per inquadrare queste due esperienze perché di- verso era l’approccio: IGC comprava i crediti dalle banche del Gruppo e poi li gestiva au- tonomamente, mentre UCCMB era (almeno inizialmente) il gestore di Gruppo dei crediti deteriorati, che restavano sui libri delle ban- che. Ciascuna, a modo suo, rappresentava un modello di come si sarebbe sviluppato il mercato. Era l’alba di una nuova era, favorita anche dalla promulgazione della L. 130/99 sulle cartolarizzazioni. Gli anni 2000 hanno visto arrivare i primi investitori stranieri, sottoscrittori delle note delle prime grandi operazioni di cartolarizza- zione di crediti deteriorati, e con essi la neces- sità dello sviluppo di unmercato di servicing indipendente (nel 2005, IGC viene ceduta a Fortress, che la incorpora in Italfondiario). Si sviluppano modelli di calcolo dei flussi di incasso, dei costi ongoing , con scenari con- servativi e aggressivi, dove la differenza la faceva chi effettivamente recuperava il credi- to. Il monitoraggio costante delle performan- ce di queste cartolarizzazioni e il continuo tentativo di migliorare i flussi di cassa, ha portato alla nascita di figure specializzate e professionalità dedicate a questo mestiere. L’arrivo della grande crisi del 2008-2012, pro- vocata anche dalle cartolarizzazioni di mutui subprime, paradossalmente è stata in gran parte risolta utilizzando il medesimo stru- mento che l’aveva provocata: le cartolariz- zazioni. E il piccodi crediti deteriorati del 2015 si è trasferito, anche abbastanzavelocemente, dalle banche agli SPV e ai loro servicer. Ma se le banche avevano trovato un altro modo per raggiungere il loro job to be done per i crediti deteriorati, passando da una ge- stione interna e “artigianale” ad una gestione esterna tramite le cessioni e/o accordi di ser- vicing in attesa della successiva cessione, il metodo di recupero del credito in realtà non era cambiato molto. Erano cambiati i titola- ri, ma tutto ciò che non veniva recuperato con accordi stragiudiziali, spesso subiti per insistenza del debitore, veniva (e viene) in assoluta prevalenza gestito giudizialmente. È una via che in questi anni ha manifestato tutti i suoi limiti: dal 2014 al 2022 i tempi medi delle esecuzioni immobiliari a livello nazionale sono progressivamente aumenta- ti, nonostante l’introduzione di riforme che avrebbero, invece, dovuto ridurli. E il trend in aumento non può essere giustificato dal periodo COVID, perché si era giàmanifestato nel periodo 2014-2019. Se a ciò si aggiungono, in ordine di apparizione, le eccezioni cicliche sui tassi usurari, sulla nullità parziale delle clausole fideiussorie, sulla presunta conces- sione abusiva del credito, l’obbligatorietà della preventiva mediazione civile, l’intro- duzione dellemisure protettive nella compo- sizione negoziata della crisi, fino a giungere alla recentissima messa in discussione del giudicato civile per la tutela postuma del de- bitore consumatore, si può ben comprendere come l’approccio giudiziale al recupero del credito risulti oggi perdente sia sotto il profilo dei tempi che sotto quello dei costi. Il 2023 potrebbe essere un anno di svolta nel mondo del credito deteriorato, e per com- prenderne meglio i motivi conviene ripartire dall’inizio. Qual è il job to be done di una banca, relativa- mente al credito deteriorato? Averne il meno possibile e, per la quota che fisiologicamente si crea, ridurne lamassanelminor tempopossibi- leealminor costopossibile. Per ridurre leclassi- ficazioni dei crediti, lebanche si sonodotatedi strumentidimonitoraggiosemprepiùraffinati, e lo sviluppo di questo settore è continuo, con risultati sempre più accurati e precisi. La riduzione delle masse di crediti già classi- ficati, invece, deve rispondere a due obiettivi precisi: tempi e costi. Affrontando brevemente i principali stru- menti oggi disponibili, vediamo che: · l’approccio “classico” di gestione del recu- pero tramite azioni che facciano leva anche e principalmente sull’attività giudiziale è oggi inadeguato sia per i tempi che per i costi. E ciò vale sia per le strutture interne alle banche sia per i servicer che gestiscono su mandato; · la recente impennata del costo del denaro potrebbe mettere sempre di più in crisi il mercatodellecessioni e/ocartolarizzazioni, i cui business model ora devono garantire rendimenti così elevati e in tempi di recu- pero così dilatati da esprimere prezzi che sviliscono il controvalore ceduto e stimo- lano le banche a valutazioni sulla effettiva convenienza di una tale perdita di valore. Inoltre, il progressivo deterioramento di una quota di finanziamenti c.d. COVID, garantiti dallo Stato tramite MCC e SACE, sta parzial- mente cambiando la composizione dei porta- fogli di NPE, sempre più legati alla necessità di una preventiva escussione della garanzia ad opera della banca e quindi non imme- diatamente cedibili, mentre il protrarsi degli effetti negativi della guerra Russia-Ucraina, sommati ad un’inflazione particolarmente 62 B E | B AN K E R S
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