Be Bankers

Perché mai dovevano accettare un sistema che limitava la loro capacità di accumulare surplus? Preferirono imporre BrettonWoods nella versione “dollaro-centrica”, che durò fino al 1971, quando Nixon stesso dovette ammettere che il gioco non reggeva più. Ma oggi? Oggi che l’America ha deficit com- merciali con mezzo mondo, che la Cina ac- cumula surplus da decenni, che l’Europa bar- colla tra austerità e stagnazione? Forse quel vecchio piano di Keynes non suonerebbe poi così male. Il ruolocrucialedellebanchemoderne C’è però un elemento che né Trump né Key- nes hanno completamente inquadrato: il ruo- lo centrale che le banche commerciali gioca- no nel sistema monetario contemporaneo. Oggi sappiamo – e persino le banche centrali lo riconoscono ufficialmente – che le banche non si limitano a prestare soldi che hanno già in cassa, come fanno, invece, gli altri enti finanziari. Ogni volta che erogano un credito, creano letteralmente nuova moneta. È un meccanismo che funziona attraverso una semplice operazione contabile: concedo unprestitodi 100mila euro e simultaneamen- te creo un deposito di 100mila euro sul conto del cliente. La moneta nasce in quel preciso istante, non esisteva prima. Questa capacità unica di creazionemonetaria rende le banche gli attori più influenti del sistema economico moderno, molto più di quanto generalmente si riconosca. Le implicazioni per l’economia globale sono enormi. Se le banche possono crearemoneta “dal nulla” ( out of thin air ), la chiave diventa orientare questa creazione verso investimen- ti che generino valore reale: infrastrutture, innovazione tecnologica, transizione ener- getica, ricerca e sviluppo. Il problema sorge, invece, quando questa potente leva viene uti- lizzata principalmente per alimentare bolle speculative o finanziare acquisti di beni già esistenti, senza aggiungere capacità produt- tiva all’economia. Il sistema bancario come architrave del cambiamento Immaginate di combinare tutto: il sistema di compensazione di Keynes, il potere creati- vo delle banche moderne consapevolmente orientato, una governance globale che non sia ostaggio dei rapporti di forza del momen- to. Le banche, con la loro capacità di creare moneta, potrebbero diventare i veri architetti di unnuovo equilibriomondiale, finanziando investimenti produttivi che colleghino paesi in surplus e in deficit attraverso progetti in- frastrutturali e industriali condivisi. In questo scenario, le banche non si limi- terebbero a lubrificare gli ingranaggi del commercio esistente, ma creerebbero atti- vamente nuovi canali per convertire i sur- plus di liquidità in capacità produttiva reale, scoraggiando l’accumulo sterile di riserve e favorendo invece investimenti che generino occupazione e crescita sia nei paesi creditori che in quelli debitori. Utopia? Forse. Ma non più utopica dei dazi di Trump, che stanno trascinando il mondo verso una spirale di rappresaglie da cui sarà difficile uscire. E certamente non più utopi- ca del sogno di riportare indietro l’orologio a quando l’America produceva tutto e tutti compravano dollari. Il rimpianto tardivo Trump dovrebbe ripensare a quel vecchio economista inglese ogni volta che firma un nuovo decreto sui dazi. Perché Keynes, con le sue idee tanto strampalate quanto lungimi- ranti, aveva capito che l’economia mondiale è un gioco a somma positiva: o vinciamo tut- ti, o perdiamo tutti. I dazi sono l’ammissione di aver perso la bus- sola, di non aver capito che il vero potere nell’economia moderna risiede nel sistema bancario e nella sua capacità d’indirizzare i flussi di credito. Nel breve periodo possono dare l’illusione di proteggere questo o quel settore, ma nel lungo periodo sono come una guerra di trincea: si consumano risorse, si distruggono ricchezze e, alla fine, tutti sono più poveri di prima. Il resto è solo rumore di fondo. Equel rumore, purtroppo, lo sentiranno tutti. B E | B AN K E R S 29

RkJQdWJsaXNoZXIy MTUzNjY=