Le banche statunitensi stanno affrontando un nuovo esame per prestiti opachi del valore di 1,7 trilioni di dollari. Lo scrive Barron’s, segnalando che gli osservatori si interrogano su un settore in rapida crescita dell’ecosistema finanziario, poco conosciuto al di fuori di Wall Street. Le banche stanno prestando ingenti somme di denaro a società che forniscono anche servizi finanziari, ma non sono banche né nel nome né nella regolamentazione.
Secondo la Federal Reserve Bank di St. Louis, i prestiti delle banche commerciali alle NDFI sono saliti a quasi 1,7 trilioni di dollari a fine settembre, più che quadruplicando rispetto ai 366 miliardi di dollari di settembre 2015. Questa espansione fa capire le dimensioni del flusso di credito che, dal sistema bancario, finisce al di fuori di esso verso attività potenzialmente più rischiose e poco trasparenti.
Secondo JP Morgan Securities, le NDFI rappresentano ora circa il 33% di tutti i prestiti commerciali e industriali erogati da grandi banche. Per anni, gli investitori hanno esultato per la crescita dei prestiti per le banche statunitensi. Ma Wall Street sta rivalutando la situazione in seguito ai recenti fallimenti di due aziende: Tricolor Holdings, una catena di concessionari di auto usate con sede a Dallas, e First Brands, una grande azienda di ricambi auto.
Tricolor, finita in default e che ha presentato richiesta di accesso al Chapter 11, è considerata una società finanziaria non bancaria perché ha concesso credito ai suoi clienti. Le grandi banche le hanno prestato denaro per farlo. First Brands, che ha presentato istanza di protezione fallimentare ai sensi del Capitolo 11 alla fine del mese scorso, vendeva ricambi auto, non servizi finanziari. Ma – spiega Barron’s – aveva accordi di finanziamento complessi con istituti di credito privati, a loro volta finanziati dalle banche.
Un recente report della banca d’investimento Jefferies ha mostrato la complessa rete di relazioni tra banche e finanziatori privati. La società di gestione patrimoniale Point Bonita Capital, di proprietà di Jefferies, ha prestato denaro a importanti clienti di First Brands, tra cui AutoZone, Walmart e O’Reilly Automotive. Il portafoglio di Point Bonita ha circa 715 milioni di dollari legati a queste aziende, ha affermato Jefferies, sottolineando che sta lavorando per determinare l’esposizione al fallimento della società di gestione patrimoniale.
Un’altra società di investimento affiliata a Jefferies possiede 48 milioni di dollari di prestiti a termine di First Brands nel suo portafoglio di prestiti garantiti. Per queste considerazioni, gli analisti di Morgan Stanley stimano che Jefferies dovrà affrontare perdite complessive fino a 45 milioni di dollari.
«Gli NDFI sono un gruppo eterogeneo: istituti di credito per auto subprime come Tricolor che partecipano all’economia reale, ma anche broker-dealer, hedge fund e veicoli di cartolarizzazione che operano nel settore finanziario», afferma Adam Josephson, fondatore di Sakonnet Research ed ex analista sell-side presso KeyBanc. «Ciò che è evidente è che la leva finanziaria del settore finanziario cresce di mese in mese e in molti casi ha raggiunto livelli record, compresi i prestiti a margine, i prestiti repo e i prestiti tramite hedge fund».
Nei giorni scorsi un richiamo di attenzione sul mondo degli NBFI (Non Banking Financial Institutions), espressione che disegna un perimetro finanziario affine, era giunto anche in Europa dal governatore della BCE, Christine Lagarde. Quest’ultima, all’Annual Research Conference della Banca centrale europea (vedi Be Bankers del 30 settembre 2025), aveva ricordato come, nell’area dell’euro, le NBFI siano passate da circa il 140% del PIL nel 1999 a circa il 400% di oggi. Esse rappresentano oltre il 60% del settore finanziario dell’area euro.
Iscriviti alla newsletter: https://www.bebankers.it/newsletter/