I crediti accordati alle imprese dal sistema bancario e garantiti dallo Stato (attraverso MCC o Sace) dimostrano nel tempo la loro resilienza, con tassi di default piuttosto contenuti e (salvo eccezioni) in diminuzione. Una conferma viene dall’ultimo Rapporto sulla Stabilità Finanziaria pubblicato dalla Banca d’Italia nei giorni scorsi. Nel secondo trimestre del 2025 – sottolinea il report – il loro tasso di deterioramento era aumentato al 4,1 per cento (dal 3,7 del quarto trimestre del 2024), ma l’andamento negativo è interamente dipeso dalla riclassificazione dei crediti di Banca Progetto, posta in amministrazione straordinaria con il sospetto di aver erogato crediti garantiti con una certa, chiamiamola, leggerezza, includendo nei finanziamenti anche soggetti in odore di ’ndrangheta.
Escludendo quell’intermediario dal campione – fa presente Via Nazionale – «il tasso di deterioramento di quelli assistiti da una garanzia pubblica sarebbe diminuito di circa un punto percentuale rispetto allo scorso dicembre, rimanendo comunque superiore a quello dei prestiti privi di garanzie pubbliche».
Dunque il sistema funziona e le banche, beneficiarie della garanzia anche in termini di minori assorbimenti di capitale sui finanziamenti accordati alle imprese, non sembrano nel complesso averne approfittato affidando soggetti che non lo meritavano. Salvo, appunto, eccezioni e nonostante alcune pronunce avverse della magistratura.
Perché allora non andare avanti? Le norme che regolano le garanzie andranno in scadenza a fine anno e il Governo sta decidendo il da farsi. La questione, per il momento, è assente dalla Legge di Bilancio per il 2026. Le forze politiche, una volta tanto in piena sintonia, spingono per una conferma del meccanismo, considerato fondamentale per assicurare il credito alle PMI.
Una conferma è venuta nei giorni scorsi nel corso di un dibattito sulla semplificazione normativa promosso a Roma dall’OIC, l’Organismo Italiano di Contabilità. «Non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca», ha ammonito Antonio Misiani, responsabile economico del PD. «Perché pensare di restringere bruscamente il ruolo del Fondo Centrale di Garanzia PMI, che è stato fondamentale per la tenuta del sistema produttivo durante la pandemia, e pensare di ritornare come se nulla fosse alle regole e al funzionamento precedenti? Credo che sia un errore in una fase in cui c’è una progressiva restrizione dell’accesso al credito per le piccole e medie imprese».
Gli ha fatto eco, nello stesso dibattito, Pierantonio Zanettin, senatore di Forza Italia nonché Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario, finanziario e assicurativo. Questi si è fatto promotore di un ordine del giorno, firmato da tutte le forze politiche (PD e M5S inclusi), presentato nella discussione sulla Legge di Bilancio. I parlamentari chiedono al Governo – ha spiegato Zanettin – di reiterare il sistema delle garanzie sui crediti e di «valutare l’opportunità di concentrare le risorse sulle aziende fragili, meno strutturate, che più necessitano appunto di sostegno e aiuto». Attraverso un monitoraggio adeguato da parte del Governo, le garanzie dovrebbero insomma «indirizzarsi a quei soggetti più piccoli, meno strutturati, che rappresentano una fetta molto sostanziosa del nostro sistema economico».
Così formulato, l’ordine del giorno non sembra dissimile dall’orientamento del Governo, anticipato nelle scorse settimane dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, anch’egli convinto – lo ha detto alla Giornata Mondiale del Risparmio – che l’aiuto pubblico debba concentrarsi sulle imprese che incontrano le maggiori difficoltà a essere finanziate dal sistema bancario.
Come interpretare le esitazioni dell’Esecutivo, allora? Innanzitutto il sistema bancario preferirebbe continuare a contare su un sistema di garanzie ad ampio spettro per non inceppare un meccanismo che ha dimostrato di funzionare bene (e che produce sostanziosi vantaggi in termini di ratios patrimoniali). Inoltre, limitando l’ombrello protettivo sulle aziende più deboli, lo Stato dovrebbe sopportare un maggiore rischio finanziario perché, a quel punto, dovrebbe attendersi un volume molto maggiore di garanzie escusse per default del debitore. E potrebbero moltiplicarsi le sentenze avverse della magistratura sulla corretta valutazione del merito di credito, che già attualmente preoccupano non poco i banchieri.
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