Default ai minimi storici, rischio dazi in agguato

Secondo Cerved Rating Agency, il rischio default delle imprese italiane è ai minimi dal 2000, ma potrebbe risalire nel 2026 per effetto delle tensioni commerciali e dei nuovi scenari geopolitici

0
25
freccia-calo-rialzo

Il rischio di credito delle imprese italiane è tornato ai livelli più bassi da oltre vent’anni, con una probabilità media di default pari al 5,3% registrata a marzo 2025: un dato che non si vedeva dal dicembre del 2000. A segnalarlo è l’ultima analisi di Cerved Rating Agency, che però lancia un monito per il prossimo futuro.

Le imprese esportatrici, in particolare, potrebbero trovarsi presto sotto pressione a causa dei dazi USA e delle tensioni geopolitiche internazionali, con impatti negativi sulla liquidità e sulla capacità di onorare i debiti.

Il 2024 ha comunque mostrato segnali di miglioramento per molte aziende: il 17% dei rating è stato rivisto al rialzo (contro l’8% dell’anno precedente) e il 78% dei giudizi è stato confermato. Questa stabilità è dovuta al calo del costo del denaro e alla migliore salute finanziaria delle imprese italiane. Tuttavia, il futuro si prospetta incerto. Nello scenario considerato più probabile, la probabilità di default media salirà al 5,5% entro 12 mesi, senza comunque tornare ai massimi di fine 2023 (6,2%).

Ma esistono anche scenari alternativi:
– in quello peggiore, con guerra commerciale globale e nuove crisi energetiche, il tasso di default potrebbe salire al 6,5%
– nell’ipotesi più ottimistica – con la fine dei dazi e una distensione tra Russia e Ucraina – potrebbe scendere al 5,1%

L’impatto sul sistema produttivo italiano sarà eterogeneo: il terziario, meno dipendente dall’export, è relativamente al riparo da scossoni. Al contrario, i settori ciclici e orientati all’esportazione – automotive, tessile, agroalimentare e farmaceutico – vedranno aumentare la loro esposizione al rischio nei prossimi 12 mesi.

Le imprese esportatrici verso gli Stati Uniti, pur partendo da una solidità finanziaria superiore alla media nazionale, registreranno un incremento di rischio più marcato, soprattutto tra le PMI. Queste ultime, meno patrimonializzate, vedranno un aumento dell’8% della loro rischiosità, contro il +3% delle PMI non esposte al mercato americano. Per le grandi imprese, la differenza sarà più contenuta: +4% per quelle esportatrici contro +3% per le altre.

I prossimi mesi saranno quindi decisivi, anche alla luce degli investimenti previsti dal PNRR e dal piano europeo ReArm EU, che potrebbero attenuare parte degli effetti negativi sui settori più coinvolti. In ogni caso, sarà cruciale monitorare attentamente «l’evoluzione del rischio di credito», soprattutto in vista di «un possibile deterioramento del contesto macroeconomico internazionale».