Europa: in attività circa 300 litigation funder

Un recente studio della Commissione UE fotografa il fenomeno della giustizia finanziata da terzi

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In Europa sono attivi circa 300 litigation funder, molti dei quali operano in più Stati membri. La cifra è il risultato di un censimento («Mapping Third Party Litigation Funding in the European Union») condotto dalla Commissione Europea sugli intermediari che prestano assistenza nelle controversie legali, ottenendo una quota dell’eventuale guadagno su quelle liti.

Nel sintetizzare le conclusioni dello studio, Giacomo Lorenzo, Head of Italy e Senior Legal Counsel presso Deminor Litigation Funding, ha spiegato che il ricorso a tale strumento rappresenta una prassi ormai consolidata in diversi ordinamenti dell’Unione, in particolare in Germania e nei Paesi Bassi. Ma anche Belgio, Francia, Austria, Spagna, Portogallo, Danimarca, Svezia e Italia sono stati segnalati come Paesi in cui l’attività dei litigation funder risulta significativa.

Una delle principali difficoltà da sempre riscontrate nell’inquadrare la reale dimensione dell’industria del litigation funding riguarda l’assenza di dati affidabili sul numero di controversie in cui interviene un funder. Questa carenza informativa è riconducibile all’assenza di obblighi di disclosure.

Nel censimento della Commissione, tuttavia, 23 operatori hanno condiviso i dati relativi alle proprie attività, permettendo così di giungere a una prima ricognizione del fenomeno. Le cifre riportate variano da meno di 10 a oltre 100 controversie in cui interviene annualmente ciascun funder, per un totale di circa 700 procedimenti complessivi (compresi quelli in fase esecutiva), di cui meno di 100 in sede arbitrale.

Alcuni funder hanno precisato che i dati forniti si riferiscono ai procedimenti pendenti in un determinato anno, mentre altri hanno basato le proprie stime sul numero di nuovi casi in cui hanno investito in un determinato anno; pertanto, nel report è stato chiarito che i dati potrebbero avere diverse interpretazioni.

Dalle risposte si evince poi che il valore delle suddette controversie che vedono l’intervento dei litigation funder si colloca prevalentemente tra i 5 e i 300 milioni di euro, anche se non mancano operazioni sotto il milione, in particolare nei contenziosi seriali. La remunerazione dei funder oscilla mediamente tra il 20% e il 30% dell’importo recuperato, ma gli accordi possono prevedere anche strutture contrattuali più sofisticate, basate su multipli dell’investimento.

La consultazione ha coinvolto 231 partecipanti provenienti da tutti i 27 Stati membri dell’Unione Europea e inoltre da Regno Unito, Canada, Svizzera e Stati Uniti. La distribuzione geografica ha visto una predominanza di risposte da Germania (21%), Paesi Bassi (16%), Belgio (15%), Spagna (14%), Austria (13%), Francia (13%), Italia (11%) e Portogallo (10%). Partecipazioni significative sono giunte anche da Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera, Norvegia e Canada.

La questione della regolamentazione del litigation funding ha rappresentato uno degli aspetti centrali dello studio. Il 58% degli stakeholder consultati ha espresso la necessità di introdurre una disciplina ad hoc: il 29% ha auspicato un intervento a livello europeo, il 25% una regolazione mista (europea e nazionale), mentre solo il 4% ha indicato una preferenza per una normativa esclusivamente nazionale. Al contrario, il 29% non ha ritenuto necessaria alcuna regolamentazione e i restanti partecipanti hanno dichiarato di non sapere o non hanno risposto.

Attualmente, nella maggior parte degli Stati membri, il litigation funding opera in assenza di una disciplina specifica, ad eccezione di quanto previsto dalla Direttiva (UE) 2020/1828 sulle azioni rappresentative, recepita in Italia con il D.lgs. 28/2023. Con questa normativa è stata disciplinata un’azione di classe «speciale», esperibile solo dalle associazioni dei consumatori in possesso di determinati requisiti e inserite in apposito elenco tenuto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, nonché da organismi pubblici indipendenti (es. Banca d’Italia, Consob, Ivass, Agcm, Garante Privacy).

Può avere ad oggetto violazioni di «interessi collettivi dei consumatori» esclusivamente nelle materie inserite dal legislatore in un apposito elenco e consente di chiedere provvedimenti di natura compensativa (e, dunque, anche risarcitori e restitutori) oppure inibitoria.

In mancanza di una normativa organica, il fenomeno è disciplinato dai principi generali del diritto contrattuale e processuale civile, nonché dalle norme deontologiche applicabili agli avvocati. Nei casi in cui ad avvalersi del litigation funding sia un consumatore, trovano applicazione le tutele previste dalla normativa UE in materia di tutela dei consumatori.