Fideiussioni omnibus. “Quer pasticciaccio brutto di Piazza Cavour”

Nel 2005, il 18% dei finanziamenti era assistito da fideiussioni, secondo i dati dell'Antitrust. Poi le regole sono cambiate e nel tempo si è aperto

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IL CASO

Nel mondo delle fideiussioni omnibus ci sono tutte le premesse per una “tempesta perfetta”. In discussione vi sono quelle garanzie che impongono al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, del debitore principale verso la banca in dipendenza di qualsiasi operazione; di qui il nome omnibus. Nel 2005, il 18% dei finanziamenti era assistito da fideiussioni, secondo i dati dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato. In quell’anno, via Nazionale statuì – con il provvedimento n. 55 di Banca d’Italia – la contrarietà alla normativa antitrust di tre clausole del modello della fideiussione omnibus redatto dall’Abi. Su quel provvedimento s’è innestata la sentenza della Cassazione a sezioni unite n. 41994 del 30 dicembre 2021.

In quella pronuncia, i giudici di Piazza Cavour hanno stabilito la nullità parziale delle fideiussioni omnibus. Ulteriori effetti potranno prodursi in futuro anche per l’orientamento, del maggio scorso, della Corte di Giustizia Europea (CGUE) che ha aperto la porta a contestazioni da parte dei consumatori (e spesso i fideiussori lo sono), nel corso di procedure esecutive, anche a fronte di decreti ingiuntivi passati in giudicato perché non opposti (cd. giudicato implicito).

Il contenzioso legale prende origine dai contrati stipulati entro il 2005. Successivamente a quella data, infatti è anche cambiato il modello Abi, che si è adeguato alle nuove disposizioni di vigilanza. Ma le fideiussioni stipulate ante-2005 conservano la loro validità? Se lo chiedono, tra l’altro, quanti hanno acquistato portafogli di crediti deteriorati garantiti da fideiussioni omnibus. Se si dovessero ascoltare queste autorità, tutte le fideiussioni omnibus stipulate in conformità al modello Abi del 2003 sarebbero parzialmente nulle, perché in contrasto con la normativa antitrust. Ciò che impensierisce di più i creditori è la potenziale nullità della clausola 6 del modello, che sancisce la deroga, a favore delle banche, dell’articolo 1957 del Codice civile. Questa norma impone al creditore di agire giudizialmente nei confronti del debitore (o del fideiussore) entro il breve termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, altrimenti il fideiussore è liberato e di qui l’opportunità di derogare contrattualmente a tale termine nei contratti di fideiussione.

Purtroppo, accade molto spesso che le banche non abbiano iniziato il recupero entro i canonici sei mesi, con la conseguenza che, oggi, molti cessionari del credito – a fronte della potenziale nullità della clausola derogatoria di cui all’articolo 6 – potrebbero trovarsi in pancia crediti garantiti che tali non sono per intervenuta decadenza della fideiussione. Se ciò accadesse, il valore d’interi portafogli potrebbe subire una diminuzione notevole. A peggiorare il panorama, sta la posizione, di recente assunta dalla CGUE, che ha portato una rivoluzione nel panorama italiano. Fino all’intervento della CGUE, infatti, i giudici italiani hanno sempre ritenuto che un decreto ingiuntivo passato in giudicato, perché non opposto, non potesse più essere messo in discussione in quanto, si diceva, il giudicato copre il dedotto e il deducibile, ovverosia, in altre parole, consente di mettere una pietra sopra a eventuali clausole abusive del contratto sulla base del quale era stato ottenuto il decreto ingiuntivo. Dopo le sentenze della CGUE, invece, il giudice dell’esecuzione è obbligato a valutare l’abusività delle clausole del contratto di fideiussione rilasciato da un consumatore, anche se coperto da un decreto ingiuntivo non opposto. Il rischio è di riesumare posizioni di credito che, ormai, si davano per certe, con gli evidenti strascichi sui valori di cessione dei portafogli.

ANALISI

I dubbi sulle recenti pronunce giurisprudenziali sono quantomeno leciti. Innanzitutto occorre considerare che il contratto di fideiussione è, per usare un termine atecnico, una proposta proveniente dal fideiussore e che il creditore si limita a non rifiutare, come previsto dall’articolo 1333 del Codice civile. Appare quindi difficile traslare alle fideiussioni le soluzioni adottate per altri contratti. In particolare sono i fideiussori che avanzano la proposta alle banche, ovviamente adottando un modello contrattuale che queste non rifiuterebbero. Per motivi di celerità degli affari, le banche indicano già al fideiussore il testo che queste non rifiuterebbero, ma è poi il fideiussore che avanza la proposta. Non è chiaro come una proposta proveniente dal fideiussore possa contenere clausole abusive per il fideiussore stesso, perché in contrasto con il diritto antitrust.

Quanti mettono in discussione la validità delle fideiussioni, non tengono conto di come, nella realtà, avviene il rilascio di tali garanzie. Normalmente, i fideiussori (e con loro molti giudici) affermano che il fatto che vi fosse un testo standard di fideiussione proposto dall’Abi avrebbe limitato la loro possibilità di scelta di altri testi diversi proposti da altri intermediari. Questa affermazione non ha senso. Infatti, quando un cliente si rivolge a una banca per chiedere un finanziamento e questa si dichiara disponibile a concederlo purché il cliente si procuri un fideiussore, quest’ultimo o rilascia la fideiussione secondo il testo che quella banca non rifiuterebbe oppure non può andare presso altre banche a chiedere un altro testo di fideiussione da “offrire” alla banca finanziatrice. Ciò che conta è solo il testo della fideiussione che la banca disposta a erogare il finanziamento accetterebbe dal fideiussore.

A mio giudizio, inoltre, anche l’originario provvedimento n.55/2005 dell’autorità di vigilanza pecca di legittimità. In esso è la stessa Banca d’Italia a confermare espressamente che il modello contrattuale del 2003 non fosse mai stato divulgato prima alle associate e se non è stato mai divulgato, vuole dire che non c’è stata alcuna violazione antitrust. Inoltre, l’Abi, a partire dal 2005, ha divulgato alle associate un nuovo modello privo delle tre clausole incriminate. Mi domando, quindi, come la giurisprudenza possa fulminare con la nullità i testi contrattuali conformi al primo modello Abi, se è vero che non è mai stato divulgato e ciò vale a maggior ragione per le fideiussioni post 2005. E non è tutto. La Banca d’Italia, all’epoca, era autorità antitrust nei confronti delle banche, ma l’Abi non era una banca e, quindi, a mio avviso tale provvedi- mento è stato emesso da un’autorità priva di potere. Peraltro, facendo bene i calcoli, il provvedimento è stato emesso oltre il termine ultimo. A me sembra evidente la sua illegittimità.

È definitivo per l’Abi, ma non per le banche, che non erano parti di quel giudizio amministrativo. Pertanto ogni difensore di banca può chiedere ai giudici civili di disapplicare quel provvedimento, in forza della legge n. 2248/1865. È una vecchia norma, ma tuttora in vigore, che consente al giudice civile di disapplicare al caso sottoposto alla sua attenzione eventuali provvedimenti amministrativi illegittimi. Per quanto riguarda poi il recente orientamento della CGUE non mi sembra compatibile con il nostro ordinamento. Secondo la CGUE il giudice dell’esecuzione dovrebbe sollevare d’ufficio la nullità di una clausola abusiva, contenuta in un contratto con un consumatore, anche se su quel contratto si sia formato il giudicato in forza di un decreto ingiuntivo passato in giudicato. Lo trovo, appunto, non compatibile con il nostro ordinamento interno che, sebbene preveda che il decreto ingiuntivo venga emesso senza il contraddittorio, semplicemente lo sposta in avanti, consentendo al consumatore di opporsi al decreto. Pertanto, laddove il consumatore abbia deciso di non opporsi non ci troviamo forse di fronte a un’ipotesi di completa passività del consumatore interessato, citata dalla stessa Corte, come limite per l’intervento d’ufficio del giudice dell’esecuzione? Molti magistrati, in Italia, se lo chiederanno.