Germania: fallimenti aziendali in forte crescita (+8,3%)

Le imprese tedesche tra debiti, costi elevati e burocrazia, con insolvenze personali in crescita del 6,5 per cento

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Berlino- torre-bianca-nebbia

La Germania si prepara a registrare nel 2025 il più alto numero di fallimenti aziendali degli ultimi dieci anni, con circa 23.900 imprese previste in bancarotta, l’8,3% in più rispetto al 2024, secondo un report dell’agenzia di credito Creditreform, rilanciato da Reuters. La crescita dei fallimenti evidenzia le difficoltà strutturali che le aziende tedesche affrontano dopo due anni di contrazione economica. Molte imprese, soprattutto piccole e medie, sono fortemente indebitate, faticano ad accedere a nuovi finanziamenti e devono confrontarsi con costi energetici elevati e un quadro regolatorio complesso, spiegano gli esperti di Creditreform.

Le microimprese, con meno di dieci dipendenti, rappresentano l’81,6% dei casi, una quota in aumento rispetto al 2024: se il loro impatto individuale sui danni finanziari e sull’occupazione è limitato, il peso complessivo sui creditori, tra banche e fornitori, resta significativo.

Le perdite finanziarie derivanti dai fallimenti aziendali sono stimate intorno ai 57 miliardi di euro, con una media superiore ai 2 milioni di euro per ogni caso, mentre il numero di lavoratori coinvolti dovrebbe attestarsi a circa 285.000. Il quadro per il 2026 rimane incerto: nonostante i piani governativi di investimenti in infrastrutture e riarmo per stimolare la crescita, gli alti costi, la burocrazia e la debolezza economica continueranno a minare la competitività delle imprese.

La tendenza negativa si estende anche ai consumatori: le insolvenze personali dovrebbero crescere del 6,5%, arrivando a circa 76.300 casi, il livello più alto dal 2016, a causa dell’indebitamento crescente, dell’aumento dei costi della vita e dei tagli occupazionali. Attualmente in Germania sono considerati sovraindebitati circa 5,67 milioni di cittadini, una cifra che testimonia quanto le tensioni economiche stiano comprimendo famiglie e imprese, rendendo urgente individuare strumenti di sostegno e strategie di rilancio per preservare la solidità del tessuto economico nazionale.

Alle conseguenze della crisi, in particolare del settore automobilistico, nell’industria tedesca ha dedicato un articolo anche Avvenire. «Rispetto ad alcuni anni fa – ha sottolineato Martin Mucha, nominato curatore fallimentare di un’azienda in default – è molto difficile, se non impossibile, trovare un investitore tedesco od estero disposto a salvare o ad aiutare un’azienda tedesca in crisi». In particolare, nei settori auto, meccanico e siderurgico si è innescata una sorta di effetto domino: prima la crisi dei grandi colossi automobilistici — Volkswagen, Mercedes-Benz, Porsche — quindi i giganti della componentistica, Bosch e ZF, infine tutto l’indotto. Solo nel settore automobilistico, in un anno, sono andati persi quasi 50.000 posti di lavoro. L’ultimo ad iscriversi nella classifica dei tagli è stato il produttore di camion e autobus Man, che ha annunciato una riduzione del personale di 2.300 unità. Ma si registrano cali di produzione, tagli e insolvenze di aziende anche nella meccanica, nella produzione dei metalli e di apparecchiature per l’elaborazione dati, di prodotti elettronici e ottici.

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