La legge di Bilancio 2026, approvata nelle scorse settimane dal Governo, ha iniziato in questi giorno il suo iter parlamentare ma non è ancora completa. C’è una parte, ancora tutta da scrivere, che riguarda il destino della garanzie pubbliche sui crediti accordati dalle banche, soprattutto alle Pmi. L’ombrello protettivo – ha ricordato nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti parlando alla giornata del Risparmio – riguarda finanziamenti per circa 270 miliardi (circa un quarto del totale dei crediti al sistema produttivo) assistiti da garanzie di Sace e Mcc che ne detiene la parte preponderante, pari a 156 miliardi.
Che qualcosa vada fatto è in qualche modo inevitabile considerando – ha spiegato l’amministratore delegato di Mcc, Francesco Minotti in una recente audizione al Senato – che il sistema delle garanzie pubbliche, prorogato dalla precedente legge di Bilancio, scade a fine anno. In mancanza di un nuovo atto normativo, il sistema imprenditoriale che ha largamente utilizzato quelle agevolazioni soprattutto nel corso della pandemia, subirebbe il contraccolpo di un probabile credit crunch. È pertanto presumibile che un emendamento alla manovra economica interverrà nelle prossime settimane a colmare la lacuna.
Un nuovo atto normativo dovrà decidere non soltanto se diminuire o meno la quota di crediti garantiti dallo Stato – una sforbiciata è già stata preannunciata da Giorgetti – ma anche mettere in sicurezza il sistema dei crediti garantiti dalle azioni della magistratura che spesso è intervenuta in questi anni – con circa 700 provvedimenti depositati finora – a dichiarare nulli, se non addirittura illeciti, quei finanziamenti concessi a suo dire senza considerare con prudenza il merito di credito delle aziende affidate.
Nel complesso la partita è oggetto di una riflessione in corso da parte delle banche – se ne è parlato in questi giorni al XII Congresso NPL&UTP organizzato a Verona da Alma Iura – alcune delle quali sono propense a cedere quei portafogli sul mercato secondario, divenuti ingombranti nei loro business plan. Ed altre, invece, restie a liberarsi di quei portafogli subendo uno sconto sui prezzi che potrebbe giungere al 10 per cento.
Il problema centrale riguarda comunque la decisione che il governo si appresta a prendere. Parlando alla giornata del risparmio Giorgetti ha anticipato la scelta di stringere i criteri di accesso ai soli casi in cui – ha spiegato – “senza la garanzia pubblica, i prestiti non sarebbero stati concessi”. Ma almeno una parte del sistema bancario la pensa diversamente “Mi chiedo quanto economicamente stia in piedi finanziare solo la parte patologica di quei portafogli – ha osservato al convegno di Alma Iura l’ad di BPM Giuseppe Castagna – quanto sia socialmente ed eticamente corretto. Preferisco che invece si continui ad usare uno strumento di garanzia che è stato un volano straordinario nell’economia e che sta mostrando delle delinquency, dei default rate molto bassi piuttosto che destinarlo solo alla parte diciamo meno virtuosa del nostro mercato”. Gli ultimi dati sul mercato dei “garantiti” supportano queste considerazioni. Nella recente audizione parlamentare Minotti ha spiegato che la vita residua media di quei portafogli è oggi di 2,5 anni. “Tra il 2021 e il 2024 – ha aggiunto – il fondo ha visto registrare tassi di decadimento e di deterioramento contenuti, inferiori ai livelli anti emergenza covid. Dal 2025 i tassi sono tornati in linea con la serie storica di lungo periodo e, allo stato, non destano preoccupazioni”.
Il sistema delle garanzie è insomma utilizzato dalle banche per erogare credito generalmente “buono” alle Pmi, per importi relativamente contenuti (in media €185mila nel caso di MCC). Perché, allora, gli istituti di credito ricorrono a quel paracadute? Ad orientarli in quella direzione sono anche le regole prudenziali di Basilea.
Secondo quella rigida normativa l’assorbimento di capitale che una banca deve sopportare per un credito “normale” è circa tre volte il ratios applicato sui crediti “garantiti”. Poco importa che quei portafogli seguano delle traiettorie di delinquency sostanzialmente simili. E così le banche utilizzano la strada dei garantiti anche per sottrarsi ai vincoli della regolamentazione prudenziale. Già attualmente, per considerazioni analoghe, molti finanziamenti a lungo termine alle imprese escono dai perimetri delle banche per finire in gestione ai fondi di private debt che non sono soggetti alle regole di Basilea.
In fondo lo Stato ha offerto in questi anni una soluzione analoga a quella dei fondi private, pur mantenendo i finanziamenti in capo al sistema creditizio tradizionale. Per assicurare il credito alle imprese limitando le garanzie pubbliche – ciò che in fondo si propone Giorgetti – occorrerebbe dunque mettere mano alle arcigne regole prudenziali della regolamentazione bancaria. Ma è un compito che esubera dalle responsabilità del ministro italiano dell’Economia.
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