Private equity, Aifi: raccolti 15 miliardi di euro nell’ultimo triennio

L'associazione del Private Equity, Venture Capital e Private Debt nel corso del proprio convegno annuale ha invocato un maggior contributo da parte degli investitori istituzionali

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L’Aifi punta sugli imprenditori italiani per incentivare la raccolta del private equity italiano, che nell’ultimo triennio si è attestata a quota 15 miliardi, cifra tuttavia – a suo dire – non ancora sufficiente per investire nella sfida futura della transizione ecologica e digitale, per la quale servirebbero almeno 500 miliardi di euro l’anno. L’associazione del Private Equity, Venture Capital e Private Debt ha snocciolato i dati sulla raccolta nel corso del proprio convegno annuale.

I capitali privati non si investono in impresa

Secondo l’organismo di categoria serve un maggior contributo al Private equity da parte degli investitori istituzionali, anche se il loro impegno a dire il vero è già cresciuto nell’ultimo periodo. “Il nostro – ha messo evidenziato nel corso del meeting il presidente Aifi Innocenzo Cipolletta – è un Paese ricco di famiglie imprenditoriali dove c’è un forte spazio, anche per il comparto del private banking, di investire in private capital così da alimentare i progetti di crescita e internazionalizzazione”.

In base ai dati presentati, l’Italia presenta un tasso di risparmio, rispetto al reddito lordo disponibile, pari a 9,8 con un risparmio medio per famiglia italiana di circa 176 mila euro. A fine 2022 la ricchezza netta delle famiglie italiane è stata di 10.421 miliardi di euro. Questa ricchezza, tuttavia, secondo l’associazione è investita in immobili e titoli pubblici mentre è minore la quota destinata a supporto delle imprese che non siano di proprietà. “Per questa ragione – ha aggiunto Cipolletta – è fondamentale l’apporto che casse, fondi, assicurazioni e investitori istituzionali in genere possono dare per veicolare il risparmio a supporto delle attività imprenditoriali italiane”

La maggior parte delle imprese italiane – come è stato evidenziato nel corso del convegno sono piccole e medie, occupano il 76% degli addetti e hanno un peso del 63% sul valore aggiunto totale nazionale. Secondo l’Eurostat meno del 60% delle fonti di finanziamento delle imprese italiane è attribuibile all’equity. Tutto il resto proviene da prestiti, titoli di debito e altro.

Resiste il mid market

Per quanto riguarda il private equity, il 2023 ha visto un calo sia nella raccolta che ha raggiunto 3,8 miliardi di euro rispetto ai 5,9 del 2022, sia negli investimenti scesi da 23, 7 miliardi di euro a 8,2 miliardi. Nei primi tre mesi dell’anno 2024 invece si sono registrate operazioni per circa 14,6 miliardi di euro di cui circa 8 miliardi relativi ad operazioni con Private Equity. Si confida nella ripresa dell’attività grazie alla discesa dei tassi e alla conseguente maggiore disponibilità di debito.

In controtendenza invece il segmento di mid market, quello con operazioni con equity versato inferiore ai 150 milioni di euro, dove sono stati investiti 5, 2 miliardi, il secondo valore più alto di sempre. “Nell’ultimo triennio – ha sottolineato la direttrice generale Aifi Anna Gervasoni – sono state oltre 1.500 le società oggetto di investimento per un ammontare di circa 16 miliardi, occorre però che, in fase di fundraising aumenti la loro raccolta così che si possano moltiplicare le iniziative di investimento”