Sul controllo del sistema dei pagamenti internazionali e l’uso della moneta digitale si è aperto un nuovo aspro scontro tra Stati Uniti ed Europa. I primi stanno promuovendo il progetto di stablecoin con il proposito di ribadire il ruolo centrale del dollaro nelle transazioni commerciali. L’Unione Europea porta avanti il progetto alternativo di euro digitale. Sulla posta in gioco e le possibili conseguenze sul sistema finanziario internazionale, Be Bankers ha interpellato Paolo Savona, presidente della Consob e grande studioso di questi temi.
«Ritengo che occorra porre ordine al problema da risolvere, scegliendo tra proteggere l’architettura istituzionale del mercato monetario e finanziario elaborata negli ultimi due secoli, inserendola nelle nuove tecnologie contabili criptate e decentrate e non viceversa come si va facendo, nonché applicando i metodi dell’Intelligenza Artificiale nella gestione del risparmio, oppure accettare il ritorno al lontano passato di una convivenza tra moneta pubblica e privata e un uso del risparmio su basi prevalentemente soggettive, fonte di partigianerie e abusi. Stiamo muovendo verso questa seconda soluzione, con rischi piuttosto gravi per i piccoli risparmiatori e i sistemi pensionistici. In ogni caso, occorre un accordo internazionale che ponga fine alle soluzioni finora emerse per le cryptocurrency: divieto in Cina, regolamentazione nell’UE, legittimazione negli Stati Uniti.
Poiché valuto che il mercato dei più abili abbia preso il controllo di questo mercato negli Stati Uniti e i meno abili perseguano l’illusione dei guadagni facili (che ho assimilato al campo dei miracoli di Pinocchio), ritengo che passare da un sistema collaudato a uno incognito, come quello che si delinea per le crypto integrate con gli strumenti tradizionali, sia una scelta avventata; ritengo inoltre che le Autorità abbiano strumenti sufficienti per muovere una competizione di mercato alla diffusione delle cryptocurrency e alla loro integrazione con la moneta e le attività tradizionali, entrambe abbastanza ben regolate.
Le decisioni attivabili d’autorità sono quelle:
a) di passare per tutti i valori mobiliari a una contabilità decentrata, ma conoscibile (ossia DLT, Distributed Ledger Technology, non blockchain) e quindi regolabile per prevenire l’uso di denaro “sporco” a qualsiasi titolo;
b) di creare un’unica moneta pubblica avente caratteristiche di sicurezza e protezione legale, che le crypto non hanno;
c) di creare safe asset perfettamente liquidabili, remunerati in misura competitiva con il rendimento implicito delle crypto;
d) di riunire la gestione del risparmio sotto un’unica autorità di vigilanza, assegnando un rating sulla base delle valutazioni oggettive ottenibili con l’uso dei metodi AI».
In Usa il Congresso ha appena disegnato il nuovo schema regolamentare per le cryptovalute. È confermato il supporto alle stablecoin ed il divieto di emettere valuta digitale da parte della Fed, la strada che invece ha imboccato la Eu. Che conseguenze sono da attendersi?
«Il decreto Trump del 6 marzo di quest’anno proibisce la nascita del dollaro digitale e stabilisce che Bitcoin e quattro crypto (Ether, XRP, Sol e ADA) sono elegibili come riserva ufficiale della moneta americana. È piuttosto chiaro nelle sue implicazioni e il tentativo che il Congresso sta producendo per tramutare in legge la volontà del Presidente è sottoposto a vincoli derivanti dal logrolling, ossia le concessioni da dare per farla approvare, che aumenta la confusione esistente in materia.
La situazione resta tale che una siffatta soluzione non elimina i rischi di una crisi sistemica più grave di quella del 2008, che ebbe origine nella concessione dei subprime credit confezionati in derivati complessi.
L’assetto che si delinea è la convertibilità del dollaro in cryptocurrency, un’incognita che delinea gravi conseguenze per chi ha dato fiducia agli Stati Uniti acquistando i titoli denominati in dollari, anche da parte dei Paesi che non accettano la sua leadership politica, a maggior ragione da parte di chi l’ha accettata.
Si accumulerebbero malcontenti e reazioni con conseguenze geopolitiche gravissime per tutti. Le obiezioni che il dollaro digitale, come pure l’analogo euro, possa limitare la libertà dei cittadini mi sembrano speciose, perché vi sono ben altri modi per conoscere tutto ciò che essi fanno e dicono; perciò la democrazia dovrebbe prendere coscienza di un problema che già esiste, ma si è complicato con le innovazioni tecnologiche, usando il voto per mandare al potere gente fidata, capace di tutelare i principi fondamentali della convivenza umana».
Un’altra misura che ha fatto discutere è stata la recente decisione della Federal Reserve Usa di rimuovere il «rischio reputazionale» dall’esame degli istituti bancari. Un provvedimento che è stato messo in relazione all’intenzione di molti giganti del credito americano di entrare maggiormente nel mercato delle cryptovalute. Anche in questo caso l’orientamento delle autorità europee sembra diverso. I rischi che promanano dal mondo delle cryptovalute – ha ammonito il governatore Fabio Panetta all’ultima assemblea di Bankitalia – “dovranno essere attentamente presidiati, in particolare quelli reputazionali legati all’offerta di criptoattività da parte delle banche. Vi è infatti il pericolo che i detentori, non cogliendone appieno la natura, li confondano con prodotti bancari tradizionali, con ripercussioni negative sulla fiducia nel sistema creditizio in caso di perdite”.
«Il rischio reputazionale ha due facce: una opera a livello micro e riguarda i singoli operatori, e l’altra a livello collettivo, investendo le autorità parlamentari, di governo e di vigilanza. Per esperienza diretta, il rischio reputazionale non è ben recepito a livello micro e si manifesta spesso con attività di moral hazard, facendo ricadere interamente sulle autorità di governo e di vigilanza il compito di tutelarlo.
I modi in cui gli Stati Uniti diedero soluzione alla crisi del 2008 sono un manuale di insegnamento: decisero di penalizzare la Lehman Brothers per dare un esempio a chi pratica il moral hazard, con effetti quasi nulli su tali comportamenti e disastrosi sul mercato globale, ma salvarono la gran parte degli altri che lo avevano praticato, investendo somme elevate di denaro pubblico.
Poiché la legislazione, soprattutto europea, ha creato la figura dell’operatore singolo a rilevanza sistemica, ha posto a carico di alcuni la responsabilità di collaborare con le autorità a prevenire il danno reputazionale delle crisi sistemiche. Come autorità che garantisce trasparenza e correttezza delle attività che si svolgono sul mercato, la Consob già opera in tal senso, ma il rischio reputazionale ha molti aspetti sui quali essa non può intervenire, rendendo meno efficace la sua azione.
In ogni caso, la collaborazione in materia dei gruppi dirigenti privati dell’economia è un necessario bene complementare dell’attività normativa, di governo e di vigilanza pubblica, senza il quale i rischi sistemici che causano quelli reputazionali del Paese non possono essere eliminati per il Paese o i suoi operatori».