Fuga fiscale, l’Italia perde oltre 5 miliardi in dieci anni

Unimpresa denuncia un’escalation di residenze fittizie all’estero: serve una risposta politica e fiscale europea

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In dieci anni, più di 73.000 cittadini italiani hanno trasferito la propria residenza fiscale in Paesi a tassazione agevolata, generando un buco nelle casse dello Stato superiore a 5,1 miliardi di euro. A rivelarlo è un’analisi del Centro studi di Unimpresa, che mette in luce un fenomeno crescente e preoccupante: l’espatrio fiscale verso giurisdizioni che offrono regimi tributari vantaggiosi, bassissima trasparenza finanziaria e normative favorevoli alle società offshore.

È la Svizzera la meta preferita dagli italiani che producono reddito nel nostro Paese, ma scelgono di pagare le imposte oltreconfine: 51.696 contribuenti per un valore di 3,34 miliardi di euro non tassati in Italia. Seguono il Principato di Monaco, Singapore, Portogallo, Emirati Arabi Uniti, Panama e Tunisia, con cifre che, pur inferiori, testimoniano la diffusione del fenomeno.

Unimpresa osserva come questa fuga di ricchezza sottragga risorse fondamentali alla spesa pubblica, alla sanità, all’istruzione e agli investimenti per la transizione digitale ed ecologica. Il problema, afferma in una nota il consigliere nazionale Marco Salustri, è politico prima ancora che tecnico: «In un Paese dove la pressione fiscale effettiva sulle imprese e sui lavoratori è tra le più alte d’Europa, il fenomeno degli italiani nei paradisi fiscali alimenta un senso diffuso di iniquità e disillusione. Chi può permetterselo trova il modo – legale o talvolta borderline – di spostare la residenza, eludendo la progressività dell’imposizione. Chi non può, resta intrappolato in un sistema dove il prelievo fiscale grava su una base imponibile sempre più ridotta, con il rischio concreto di alimentare un circolo vizioso: più elusione, meno gettito, più tasse per chi resta».

Dall’analisi di Unimpresa emerge che non solo grandi patrimoni, ma anche pensionati e professionisti scelgono destinazioni con regimi agevolati come Portogallo, Tunisia, Cipro o Mauritius, attratti da incentivi ad hoc per cittadini stranieri.

Non mancano certo i paradisi fiscali esotici, come Panama, le Filippine o Samoa, dove pochi residenti italiani dichiarano redditi milionari. Si delinea quindi una competizione fiscale sempre più aggressiva, che penalizza i Paesi con sistemi pubblici più strutturati. Unimpresa richiama l’Europa a una maggiore armonizzazione fiscale: servono regole comuni, più trasparenza e strumenti condivisi per evitare che la concorrenza tra Stati si trasformi in una corsa al ribasso che erode il gettito fiscale e mina la coesione sociale.

Nonostante i progressi fatti con accordi internazionali, scambi di informazioni e black list, l’entità del fenomeno dimostra che la strada per una fiscalità equa e sostenibile è ancora lunga e tortuosa.