Si sta fortemente riducendo il contenzioso tra banche e consumatori sulla cessione del quinto. E soprattutto sta drasticamente diminuendo il numero delle decisioni prese su questo tema dall’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) che rimangono inapplicate. È l’effetto della decisione presa da buona parte degli istituti di credito (soprattutto quelli di maggiore dimensione) di applicare, senza più indugi, la sentenza Lexitor della Corte di Giustizia Europea, seguendo gli indirizzi impartiti in materia dalla Banca d’Italia. Già la relazione annuale dell’Arbitro – organismo indipendente di composizione delle liti, nato su impulso di Via Nazionale – aveva segnalato che i contenziosi tra consumatori e banche erano in diminuzione, con un numero di ricorsi presentati all’Arbitro nel 2024 (4.783) significativamente inferiore a quelli dell’anno precedente (5.902). E il trend è proseguito anche nel 2025, coinvolgendo l’aspetto che più impensieriva le autorità di regolamentazione: l’elevato tasso d’inadempienze da parte delle banche rispetto alle pronunce dell’ABF. Erano state 4.008 nel 2024 e, al 15 settembre di quest’anno, il loro numero risulta più che dimezzato (1.695), secondo i dati contenuti nella banca dati dello stesso ABF.
La sentenza Lexitor è quella con cui la Corte di Giustizia Europea ha stabilito, nel 2019, che, in caso di rimborso anticipato dei finanziamenti, i clienti hanno diritto a riavere indietro dall’intermediario tutti i costi sostenuti al momento della stipula (a eccezione delle imposte), in proporzione alla vita residua del contratto. Non soltanto quelli ricorrenti (recurring), riguardanti i servizi e le attività prestate nel corso del rapporto (quali incasso e gestione delle rate), ma anche quelli cosiddetti up front, sostenuti all’inizio del contratto sotto forma di commissioni d’istruttoria o d’intermediazione. Le banche hanno sostenuto una fiera battaglia contro l’inclusione delle commissioni up front nei rimborsi, sostenendo, tra l’altro, che in molti casi si erano limitate a trasferire sulle spalle dei clienti finali costi d’intermediazione a loro stesse addebitati da altri soggetti utilizzati per la distribuzione dei prodotti. Tutto inutile. La giurisprudenza comunitaria, rafforzata da una successiva decisione della Corte Costituzionale italiana, ha confermato il nuovo indirizzo fatto valere nei propri giudizi dall’Arbitro Bancario.
Il fatto è che, inizialmente, gli istituti di credito avevano resistito a quelle decisioni, non vincolanti per legge – c’è soltanto la «sanzione» della pubblicità – preferendo correre il rischio di vedersi citare in giudizio dai loro clienti con la prospettiva di soccombere.
La novità del 2025 è che tutte le grandi banche italiane (a cominciare da Intesa Sanpaolo, UniCredit, Bper, Bpm, nonché Poste Italiane) hanno deciso di prendere atto degli indirizzi giurisprudenziali e dell’ABF. Il loro tasso d’inadempienza ai giudizi dell’Arbitro – risulta dalla banca dati – si è ridotto a zero.
Chi continua a resistere sono invece alcuni istituti di credito specializzati nella cessione del quinto, dove probabilmente il costo di allineamento alle pronunce è proporzionalmente maggiore. È il caso di IBL, che, al 15 settembre di quest’anno, risulta essere inadempiente per 450 pronunce dell’Arbitro. Significativa è anche la non conformità riguardante filiali di alcune grandi banche straniere, come Santander Consumer Bank (250 inadempienze). La graduale riduzione dei contenziosi è probabilmente anche l’effetto della crescente pressione esercitata dalla Banca d’Italia che, tra l’altro, con l’inizio dell’anno ha fatto riferimento alla sentenza Lexitor anche nelle proprie istruzioni di vigilanza.
Se la «bolla» della cessione del quinto si va sgonfiando, sono ora altri aspetti, nei rapporti tra clienti e banche, a destare maggiori preoccupazioni. La Banca d’Italia ha appena pubblicato il rapporto sulle operazioni di pagamento fraudolente avvenute in Italia nel secondo semestre 2024. Il numero di frodi si mantiene limitato e, in alcuni casi, in diminuzione ma, per alcune tipologie di pagamento, gli ammontari sono in aumento. È il caso dei bonifici, per i quali, nella seconda parte dell’anno passato, sono state registrate frodi per €65,5 milioni, il 61% in più su base annua. Il valore delle operazioni con carte di pagamento (debito e credito) e con moneta elettronica è in calo: €34 milioni (-20%) e €9 milioni (-36%).
Nei casi di frode, chi porta la maggiore responsabilità? Sono le banche o, in generale, i prestatori di servizi di pagamento (PSP) per non aver posto in essere un efficace sistema di protezione? Oppure sono i loro clienti a doversi rimproverare per essere stati incauti? Dipende, e queste vicende – segnala l’ABF nel suo ultimo report – alimentano un contenzioso tra banche e loro clienti che, sebbene in calo (-11% nel 2024 rispetto all’anno precedente), continuano a rappresentare un elemento di attenzione nel contenzioso ABF (30% del totale).
L’Arbitro Bancario fornisce un’articolata casistica delle diverse fattispecie, precisando il senso delle proprie pronunce. Ad esempio, in un bonifico ciò che importa è il numero dell’IBAN, e le banche non hanno l’obbligo di «verificare la corrispondenza fra il nominativo del beneficiario e quello del titolare del conto di accredito». In generale, «quando il cliente individua un’operazione di pagamento che non ha autorizzato e la disconosce, fatta salva l’opportunità di denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine, l’intermediario è di regola tenuto a rimborsarne l’importo immediatamente (al più tardi entro la fine della giornata operativa successiva a quella in cui riceve il disconoscimento)».
Il PSP non è responsabile se prova: (a) che l’operazione è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione; e (b) che il cliente ha agito in modo fraudolento oppure, con dolo o colpa grave, non ha adempiuto ai propri obblighi. Il cliente deve, infatti, utilizzare lo strumento di pagamento secondo i termini contrattuali, proteggere le credenziali di sicurezza personalizzate e comunicare tempestivamente la perdita di possesso della carta.
Sono queste le casistiche finora più comuni, ma ora, con l’intelligenza artificiale, è in arrivo una nuova minaccia. Sempre più spesso le frodi avvengono attraverso la «manipolazione del pagatore». Quest’ultimo, in buona fede, viene indotto dal frodatore a impartire un’istruzione di pagamento al proprio PSP a favore di un conto fraudolento. La manipolazione – spiega il report della Banca d’Italia – avviene soprattutto tramite tecniche di social engineering: il phishing (i criminali cercano di rubare informazioni sensibili, come password e numeri di carta di credito, inducendo le vittime a rivelarle attraverso comunicazioni fraudolente); il vishing (il criminale si finge una persona o un’istituzione attendibile, come una banca, un ente governativo o un tecnico informatico); e lo spoofing (il truffatore impersona un’altra persona nelle chiamate online per estorcere il consenso a un pagamento).
Nel secondo semestre del 2024 le frodi da manipolazione sono aumentate su tutti gli strumenti, con una crescita complessiva del 49% in valore e del 5% nel numero di operazioni, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e si confermano più frequenti nel comparto dei bonifici. Più gli algoritmi dell’intelligenza artificiale diventano sofisticati, più c’è da attendersi che queste tecniche di simulazione diventino sempre più persuasive, mettendo sotto pressione i PSP e, soprattutto, i loro clienti.
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