Banche, PMI e garanzie di Stato: Quale punto di equilibrio?

Il governo prepara la stretta sulle garanzie statali per i crediti alle Pmi: rischio credit crunch all’orizzonte per il cuore dell’economia italiana

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Il governo sta preparando una ritirata dai crediti bancari garantiti dallo Stato. La prossima legge di Bilancio per il 2026, secondo le concordanti anticipazioni dei giornali, dovrebbe contenere una decisa stretta alle misure di sostegno e finanziamento delle PMI con l’introduzione di deterrenti al fine di evitare il ricorso massivo a quelle garanzie che, introdotte all’inizio della pandemia, sono risultate decisive nell’evitare un’ondata di default per le imprese investite da quell’emergenza.

Deterrenti che potrebbero consistere in un aggravio delle procedure di controllo a carico delle banche e di una verifica, sempre a loro carico, dell’avvenuta stipula della polizza contro le catastrofi e le calamità naturali che obbligatoriamente le imprese devono avere a partire da quest’anno.


L’11 luglio scorso, il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, nell’ambito del suo intervento di chiusura all’Assemblea annuale dell’ABI, aveva già fatto intendere che il vento stava cambiando, quando aveva sottolineato che il rafforzamento delle banche italiane degli ultimi 15 anni «non si è tradotto in condizioni più favorevoli al credito ma, al contrario, in una riduzione delle erogazioni alle imprese».

L’attività d’intermediazione creditizia avrebbe ceduto il passo alla gestione patrimoniale «determinando una riduzione della funzione classica della banca», ovvero accogliere, tutelare e prestare il risparmio, guadagnando sul margine d’interesse.
E aveva concluso con un avvertimento: «occorre cambiare prospettiva», uscire da una logica emergenziale e tornare al ‘business as usual’ dove «il banchiere, nel pieno della propria autonomia imprenditoriale, svolge la sua funzione di valutazione e selezione del merito creditizio, colmando l’asimmetria informativa e fungendo da ponte tra chi decide di risparmiare e chi chiede risparmio per impiegarlo in modo produttivo».

In molti, me compreso, avevano letto queste dichiarazioni come un annuncio di un progressivo «alleggerimento» da parte dello Stato nel sostegno del finanziamento all’economia italiana attraverso il rilascio di garanzie pubbliche (principalmente MCC), e oggi ne abbiamo qualche ulteriore conferma.

Al 31 dicembre 2024 – aveva riferito Giorgetti – l’esposizione dello Stato in relazione ai finanziamenti concessi dal sistema bancario era pari a circa 294 miliardi di euro: un «ombrello» di garanzie pubbliche che ha «svolto un ruolo fondamentale nello scongiurare ben più gravi conseguenze finanziarie ed economiche», come ha ammesso lo stesso Ministro nel suo discorso all’ABI.
È indubbio che il massiccio intervento da parte dello Stato durante il periodo emergenziale abbia richiesto un importante impegno di risorse a copertura delle potenziali escussioni. Ma è altrettanto vero che l’azione del Governo in quel disgraziato periodo è stata fondamentale per tutelare, e in molti casi salvare, il tessuto economico italiano che, come tutti sappiamo, è principalmente composto da PMI.

Se, infatti, andiamo a verificare come si sia evoluto lo stock delle garanzie MCC in questi ultimi anni e quale categoria abbia tutelato, ne abbiamo la conferma: infatti dal 2019 al 2022 siamo passati da € 39,4 miliardi a € 226,3 miliardi di concessione complessiva di garanzie MCC (quasi sestuplicate), ma i beneficiari ultimi sono sostanzialmente rimasti gli stessi, e cioè per il 32% circa le microimprese, per un altro 33% le piccole imprese e per un 27% le imprese di medie dimensioni.
Soltanto il residuo 7% è andato alle cosiddette Mid cap, percentuale che nel 2024 si è ridotta al 5% a vantaggio delle piccole e medie imprese (passate rispettivamente al 33% e al 36%).

Il prospettato irrigidimento della concessione di queste garanzie potrebbe portare a un fenomeno di credit crunch? Personalmente ne sono convinto perché non dobbiamo dimenticare che per una banca finanziare una piccola impresa o una microimpresa è complesso.
Il Testo Unico Bancario prevede che le banche siano Società per Azioni, e una SpA ha principalmente uno scopo: creare valore per i propri soci e tutelare al massimo le proprie risorse di profitto che, nel caso specifico, sono i clienti.
Pertanto, se una banca vuole svolgere degnamente la propria missione (il ‘business as usual’, per citare il Ministro) deve gestire con estrema accuratezza i risparmi che le vengono consegnati e utilizzare questi risparmi attraverso la concessione del credito a terzi nel modo più profittevole e sicuro, cercando di trovare il miglior compromesso tra il rischio di credito e la sua remunerazione.

Lo Stato garante aiuta le banche
a fare il loro mestiere
anche quando rating e regole europee lo
sconsigliano.

Oggi, tutte le banche hanno un sistema di rating che fornisce una vera e propria «pagella» dei clienti affidati e dei potenziali clienti da finanziare. È l’eredità, virtuosa, delle crisi del 2008 e del 2012.
Questa «pagella» tiene conto di numerosi dati e informazioni che vengono utilizzati per valutare la bontà di un’attività imprenditoriale o, più semplicemente, la solvibilità di una persona fisica.
Tutta questa mole di dati, necessaria per permettere a una banca di calcolare il rating di un potenziale cliente, spesso stride con la realtà delle microimprese e delle piccole imprese italiane, quasi sempre sottocapitalizzate, con bilanci non certificati e molto scarni, il cui futuro è legato alla bravura imprenditoriale del singolo e non suffragato da un track record consolidato nel tempo.


Dati che devono risultare ben analizzati e valutati anche qualora, in caso di default dell’impresa, la banca si debba trovare, come regolarmente accade in questi casi, a difendersi anche giudizialmente ed ex post da contestazioni sul merito creditizio. La presenza, invece, di una garanzia statale, ovviamente suffragata da analisi puntuali da parte della banca, ha sempre favorito e continua a favorire la concessione del credito a molte microimprese, piccole imprese o startup che sono, come ripetiamo sempre, la linfa vitale dell’economia italiana e che potrebbero invece trovarsi escluse quantomeno dai finanziamenti tradizionali bancari.

Diverso è il problema legato all’accusa di un’eccessiva facilità nell’erogazione dei crediti garantiti, proprio perché garantiti, che ha portato a contestazioni sulle erogazioni effettuate in questi ultimi anni, fino ad arrivare a ipotesi fraudolente, ancora oggetto d’indagini da parte della Magistratura.
Da qui l’inasprimento dei controlli che si vorrebbero introdurre a carico delle banche.
Ma anche in questo caso, come troppo spesso accade, si tende a fare di ogni erba un fascio e a punire tutti per gli errori o la malafede di alcuni. E, come spesso succede in territorio italico, invece di aumentare i controlli sistematici per favorire la corretta applicazione di norme che già ci sono, si complicano leggi esistenti o se ne producono altre, inasprendo sanzioni, raramente applicate, e demandando a terzi controlli che, invece, devono essere e rimanere a carico dei presidi di uno Stato efficiente.

E allora come fare? Il mio suggerimento è di continuare, anzi, potenziare l’attuale sistema di garanzie di Stato attraverso l’uso del Medio Credito Centrale, e immaginare un più efficiente sistema di controlli non demandato alle banche, bensì svolto direttamente dall’apparato statale, con il supporto ovviamente delle banche stesse, che però monitori nel continuo e non a campione.

A oggi, le garanzie prestate durante la crisi pandemica non sembrerebbero aver creato disallineamenti tra quanto atteso dallo Stato in fatto di escussioni e quanto effettivamente escusso. Anzi, la situazione al 2025, cinque anni dopo l’inizio della pandemia e della promulgazione del Decreto Liquidità, sembra essere sotto controllo e non si ravviserebbero perdite inattese nei conti dello Stato.

Allora, teniamo questo sistema e potenziamolo, migliorandolo: è un modo eccellente per sostenere la micro-imprenditoria giovanile, le piccole imprese che danno lavoro a tanti e che creano valore anche se non riescono a dimostrarlo in base ai rigidi protocolli imposti dalla Vigilanza europea.
Si raggiungerebbe, così, proprio il risultato auspicato dal Ministro Giorgetti: lo Stato, con la sua presenza di garante, aiuta le banche a svolgere la loro funzione classica anche quando il rating e le regole europee glielo sconsiglierebbero, e l’imprenditoria italiana potrebbe continuare a svilupparsi e a rendere ricco il nostro Bel Paese sia in termini di PIL, sia di occupazione.

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