Codice della crisi: anche l’astreinte in soccorso della composizione negoziata

L’istituto del Codice di procedura civile, una sorta di penalità di mora in caso di inadempienza, potrebbe rafforzare la disposizione che impone ai creditori, in caso di composizione negoziata, di modificare unilateralmente i contratti in essere con l’azienda

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La composizione negoziata delle crisi potrebbe essere agevolata dall’utilizzo di uno strumento che reca un nome astruso, lo «astreinte». È un termine giuridico francese – istituto disciplinato in Italia dall’articolo 614-bis del Codice di procedura civile – che indica una penalità di mora, ovvero una somma di denaro che il debitore inadempiente deve pagare al creditore per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di un’obbligazione non pecuniaria. Ebbene – segnala in un articolo Il Sole 24 Ore – la magistratura potrebbe fare ricorso a una simile misura per garantire l’osservanza della norma del Codice della crisi (articolo 18, comma 5) che vieta ai creditori di risolvere, sospendere o modificare unilateralmente i contratti in corso, in peggio, a causa della composizione negoziata o di inadempimenti pregressi. Quella procedura infatti funziona solo se i contratti strategici, soprattutto quelli di fornitura (ma anche i rapporti creditizi), restano attivi e rispettano le condizioni originali. La stabilità di questi rapporti è fondamentale per il risanamento aziendale.

Nonostante ciò – spiega il giornale – alcuni fornitori, dopo l’apertura della composizione negoziata, pretendono condizioni più gravose, come il pagamento anticipato, o smettono di fornire. Questi comportamenti aggravano le difficoltà finanziarie dell’impresa e ne mettono a rischio la continuità e il risanamento.

Ed ecco che, in questi casi, il giudice potrebbe fare ricorso all’astreinte. L’articolo cita alcune recenti sentenze della magistratura. Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 6 giugno 2024, ha disposto il ripristino di linee di credito sospese, prevedendo una penale giornaliera. E il Tribunale di Verona, con provvedimento del 22 gennaio 2024, ha condannato una banca a pagare 3mila euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di prosecuzione degli affidamenti. «Nonostante in questi casi l’astreinte tutelasse provvedimenti cautelari – sottolinea ancora il giornale – non ci sono motivi sistematici per escluderla dalla violazione delle misure protettive, pur diverse. Queste, adottate con provvedimento del giudice, sono immediatamente esecutive e impongono obblighi di facere o non facere, la cui violazione può frustrare la composizione negoziata».

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