Il maggiore emittente mondiale di stablecoin denominati in US$, Tether, elude in gran parte le normative europee di contrasto delle attività illecite nel settore delle criptovalute. Lo ha detto Paolo Angelini, vicedirettore generale della Banca d’Italia, introducendo il Workshop UIF-Bocconi «Metodi quantitativi e contrasto alla criminalità economica», che si è svolto a Roma venerdì scorso.
La regolamentazione delle criptoattività è disciplinata in Europa dal regolamento MiCAR (Markets in Crypto-Assets Regulation), che ha introdotto la figura dei prestatori di servizi in cripto-attività (CASP nell’acronimo inglese), i quali devono sottostare a regole in materia di antiriciclaggio e contrasto al terrorismo (AML/CFT nell’acronimo inglese), non dissimili da quelle in vigore per gli intermediari finanziari tradizionali. Il fatto è – ha spiegato Angelini – che «pressoché l’intero ammontare di stablecoin in circolazione è denominato in dollari statunitensi e fa capo a due emittenti, Tether International S.A. (187 miliardi di dollari a novembre 2025) e Circle. Tether ha sede legale in El Salvador e non è autorizzata ai sensi delle regolamentazioni europea e statunitense. In Europa le stablecoin emesse da Tether non possono essere negoziate da CASP, e i loro scambi sono soggetti a presidi AML/CFT limitati in ambito UE». Quanto a Circle, «rispetta i requisiti di MiCAR ma solo quando le transazioni in cripto-asset avvengono tramite CASP».
Attualmente lo stock di stablecoin in circolazione – ha detto ancora Angelini – «ha un controvalore di circa 310 miliardi di dollari, un importo rilevante in valore assoluto ma del tutto trascurabile se rapportato, ad esempio, alla consistenza dei depositi bancari negli Stati Uniti (1,5 per cento)». Ed è poco significativo l’ammontare di queste criptomonete ancorate all’euro. Ma, se fossero distribuite da grandi gruppi tecnologici, con accesso a enormi basi di clienti, potrebbero rapidamente acquisire un’accettabilità non lontana da quella degli strumenti di pagamento tradizionali. «Qualora ciò accadesse potrebbe attenuarsi, o addirittura venire meno, l’esigenza di convertire i flussi di origine criminale in strumenti tradizionali». Ciò avrebbe conseguenze importanti.
L’intera impalcatura dei controlli sulle criptomonete fa perno sulla vigilanza sui CASP e sul fatto che, quando le criptovalute vengono convertite in moneta tradizionale attraverso un normale intermediario bancario, rientrano in un circuito regolamentato. Tuttavia un criminale potrebbe evitare il contatto con intermediari tradizionali attraverso i cosiddetti portafogli autocustoditi (unhosted o self-custodial wallets), combinazioni di software e hardware facilmente reperibili, che consentono all’utente di custodire e utilizzare direttamente le proprie cripto-attività. «Oggi, quindi, un criminale può sostituire la classica valigetta di banconote di grosso taglio con un portafoglio autocustodito, una sorta di ‘valigetta elettronica’ che non solo è in grado di contenere valori estremamente più elevati, ma può essere comodamente conservata e trasportata su un dispositivo simile a una chiavetta USB integrata con sistemi di crittografia avanzata, o su un cellulare».
Secondo le più recenti stime dell’Istat, l’economia sommersa e le attività illegali in Italia hanno generato nel 2023 un valore aggiunto pari a 218 miliardi di euro e al 10 per cento del PIL. Sulla base di una mappatura sperimentale della UIF (Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia), il 2 per cento delle imprese operanti nell’economia italiana nel decennio 2011-2020 avrebbe avuto potenziali collegamenti con le mafie. Delle oltre 145.000 segnalazioni di operazioni sospette ricevute dalla UIF l’anno scorso, circa il 15 per cento ha mostrato connessioni tra imprese e criminalità organizzata.
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