La composizione negoziata della crisi è uno strumento che facilita il rientro in carreggiata di un’azienda in difficoltà, ma può anche rappresentare un viatico efficiente per la sua definitiva uscita di scena. Una sorta di eutanasia dell’impresa. È quanto sottolinea Assonime in un report pubblicato nella sua «rassegna di Giurisprudenza» e dedicato alla «Composizione negoziata della crisi a quattro anni dalla sua entrata in vigore». Analizzando le pronunce della magistratura nel corso degli ultimi anni, l’analisi dell’associazione delle spa si è concentrata soprattutto su due aspetti: presupposti e condizioni per l’accesso alla composizione negoziata della crisi; rapporti con i creditori finanziari, sospensione delle linee di credito ed escussione delle garanzie pubbliche.
La composizione negoziata, introdotta dal Codice della crisi, ha conosciuto – spiega Assonime – «un’evoluzione positiva e costante», sia in termini di istanze presentate sia di tasso di successo del tentativo di risanamento. Dai dati di Unioncamere risulta che al 15 ottobre 2025 le istanze ammontavano, infatti, a 3.482 (1.623 in più rispetto a quelle censite nel 2024), con una crescita incrementale nei primi tre trimestri 2025 rispetto al medesimo periodo 2024 del 75 per cento. In considerevole aumento risultavano anche i casi di successo, che nel corso degli ultimi dodici mesi sono raddoppiati, passando dai 205 del novembre 2024 a 410 dell’anno successivo. «Anche in caso di insuccesso delle trattative – sottolinea lo studio – la composizione negoziata ha favorito un più rapido avvio verso un’ordinata liquidazione o un momento di confronto anticipato tra creditori e debitori per attivare un diverso strumento di regolazione della crisi».
Esaminando più in dettaglio le pronunce dei giudici, Assonime ha rilevato che l’avvio della procedura è stato spesso (non sempre) autorizzato dai tribunali anche come preludio alla liquidazione dell’impresa. «Si potrebbe dunque attribuire oggi in via interpretativa alla composizione negoziata una finalità neutra, che incoraggi la ricerca di una soluzione privatistica della crisi sotto la guida di un esperto e del Tribunale (solo in caso di richieste che incidono sui diritti dei creditori), a prescindere che essa sia volta alla liquidazione o al recupero della continuità aziendale (diretta o indiretta), dando luogo in tal modo a una radicale semplificazione degli strumenti per la gestione delle diverse situazioni di difficoltà dell’impresa, con effetti positivi sia in termini di efficienza della gestione della crisi sia di riduzione dei tempi della giustizia».
Nella stessa direzione, peraltro, sembra andare anche la proposta della direttiva europea sull’insolvenza che mira, tra le altre cose, «a introdurre un meccanismo per la vendita dei beni del debitore, sotto il controllo di un monitor, al fine di ridurre i tempi e massimizzare il valore degli attivi trasferendo tutta o parte dell’azienda a un acquirente preventivamente individuato prima dell’apertura della procedura di insolvenza (cd. pre-pack). Tale meccanismo potrebbe trovare la sua sede naturale proprio nella composizione negoziata della crisi, arricchendo ulteriormente la cassetta degli attrezzi a disposizione di debitore, esperto e creditori per una rapida soluzione non solo della crisi, ma anche dell’insolvenza».
Per quanto attiene, poi, al mantenimento delle linee di credito a un’azienda che ha avviato la procedura di composizione negoziata della crisi, l’indirizzo «prevalente» della magistratura va nella direzione di accordare questa misura cautelare, nel convincimento che la disponibilità di credito rappresenti un ingrediente fondamentale per la riuscita dei piani di finanziamento.
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