Il sistema bancario italiano ha bisogno di biodiversità. “È necessaria per mantenere una pluralità di approcci al mercato e per avere strumenti diversificati e innovativi per il credito. La presenza di banche di diverse dimensioni e vocazione garantisce un accesso più stabile e diffuso del credito, tutelando e supportando le PMI e le dinamiche economiche non solo dei territori, ma anche dell’intero Paese”. È la profonda convinzione dell’Amministratore Delegato di BPM, Giuseppe Castagna, confermata anche nella recente battaglia vinta con UniCredit, che nel novembre dello scorso anno aveva lanciato un’offerta pubblica di scambio (OPS) nei confronti dell’istituto lombardo: rimasta sempre a sconto, l’offerta è stata ritirata nel luglio scorso anche per il niet espresso dal governo con il golden power.
Napoletano, classe ’59, una lunga carriera bancaria nel gruppo Intesa Sanpaolo prima di essere nominato alla guida di BPM, Castagna ama il nuoto ed è stato spesso protagonista di maratone natatorie, acquisendo una capacità di resistenza che probabilmente gli sarà servita anche nella lunga battaglia contro il colosso di piazza Gae Aulenti. In questi mesi, Castagna ha insistito a più riprese sui rischi di rarefazione nel credito alle PMI se l’OPS fosse andata in porto. Per Banco BPM il credito a famiglie e PMI ha rappresentato costantemente circa i due terzi del credito totale in essere tra il 2020 e il 2024 (64% a fine 2024).
“UniCredit – aveva fatto presente la banca lombarda – sembrerebbe seguire una politica di credito differente con un’esposizione verso le famiglie e le PMI pari a circa il 44% al 31 dicembre 2024”. È una considerazione che valeva soltanto per UniCredit oppure ogni forma di aggregazione bancaria può comportare l’effetto indesiderato di una rarefazione del credito, soprattutto per le PMI?
“In generale, qualsiasi processo di concentrazione bancaria può potenzialmente produrre come effetto collaterale una riduzione del credito. Questo può accadere per diversi motivi: la razionalizzazione del portafoglio, l’accentramento delle funzioni che può ridurre la vicinanza territoriale e relazionale, l’ottimizzazione dei costi che può impattare sul presidio locale. Tuttavia, la rilevanza e l’impatto del fenomeno variano in base alle caratteristiche delle banche coinvolte e al loro radicamento territoriale. Istituti di dimensione come il nostro hanno un approccio più radicato sul territorio e un modello industriale orientato alle imprese locali; va da sé che operazioni di aggregazione in questi contesti tendono a mantenere il DNA territoriale delle banche senza penalizzare il credito alle PMI. Sono realtà simili con un approccio industriale legato al territorio”.
Torniamo, insomma, alla questione della biodiversità.
Le banche medie e piccole radicate sul territorio hanno un vantaggio relazionale: conoscono meglio le imprese locali, la loro storia, i cicli di mercato e i rischi reali. Questo permette decisioni di credito più informate, flessibili e tempestive. Inoltre, sono un antidoto al rischio sistemico. Quindi, un equilibrio tra grandi, medie e piccole banche può essere una soluzione efficace per tutelare il credito alle PMI e alimentare finanziariamente il tessuto produttivo.
In un assetto del credito più concentrato vi sono altri soggetti che possono intervenire a finanziare le imprese, ad esempio i fondi di private debt.
I fondi italiani di private debt hanno una quota d’impieghi molto marginale in rapporto al credito bancario; quindi, risultano marginali anche nella struttura di capitale delle imprese. In definitiva, il private debt si è dimostrato un valido strumento in casi abbastanza limitati nel finanziamento soprattutto delle medio-grandi imprese, mentre ha un ruolo di anno in anno crescente nel finanziamento delle operazioni di Leverage Buy Out.
Resta però la forte aspettativa, che potrebbe essere in parte realizzata con alcune innovazioni normative di prossima introduzione, di una cooperazione di fonti finanziarie in modo che possa essere rispettato il carattere più o meno propenso al rischio dei vari finanziatori. Sono convinto che tale cooperazione oltre che utile sia anche opportuna. Anche se difficilmente sarà questa la leva per far crescere le imprese medio-piccole.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha recentemente preannunciato una stretta sui crediti garantiti dallo Stato (MCC e SACE) che, erogati in grande quantità durante la pandemia per evitare un’ondata di default, hanno raggiunto (fine 2024) la consistenza di 294 miliardi. Che effetti potrebbe avere una limitazione delle garanzie pubbliche: credit crunch per le PMI?
Le garanzie sono state e sono un elemento strategico per supportare le imprese, e soprattutto le PMI, nei loro processi di crescita e sviluppo. Hanno contribuito a compensare nei momenti critici la capacità delle aziende di ricorrere al credito. Una delle conseguenze nell’ipotesi di una limitazione dell’accesso alle garanzie pubbliche potrebbe essere una maggiore selezione da parte degli intermediari. Ma al di là di possibili aggiustamenti, non mi aspetto effetti drastici nel breve periodo: né sul flusso delle erogazioni né sugli stock dei deteriorati che, in ogni caso, il settore bancario ha dimostrato di saper contenere e gestire piuttosto bene.
A causa di alcune vicende poco edificanti, il governo sarebbe intenzionato a rendere più severi i requisiti per accedere ai finanziamenti garantiti. È un indirizzo auspicabile, ma non c’è anche il rischio di rendere più complesse, e costose, le istruttorie creditizie?
Naturalmente occorrerà valutare la nuova normativa una volta che sarà definita nei dettagli. Ma, in linea di massima, per quanto ci riguarda, non credo possa essere tale da cambiare in modo sostanziale il nostro operato o i requisiti di capitale. Banco BPM, infatti, ha maturato esperienze e competenze in tutte le fasi del governo del credito, dall’erogazione, al monitoraggio, alla gestione degli UTP e degli NPL, che si collocano probabilmente tra le più avanzate sul mercato nazionale.
Banco BPM, al 30 giugno 2025, ha uno stock di crediti lordi deteriorati di circa 2,6 miliardi di euro e un costo del rischio di 33 punti base. Ma vorrei ricordare il nostro punto di partenza: siamo stati in grado di gestire uno stock di NPE di 30 miliardi di euro e un costo del rischio di 268 punti base; tale era l’entità alla nascita di Banco BPM, senza ricorrere ad aumenti di capitale e mantenendo un flusso di erogazioni verso famiglie e imprese che ci ha permesso di assumere, progressivamente, una leadership di mercato, in particolare verso le PMI.
Tra i vincoli che il governo sembrerebbe intenzionato a introdurre c’è anche quello di limitare l’ottenimento dei finanziamenti garantiti soltanto alle imprese che abbiano sottoscritto una polizza di assicurazione sulle catastrofi naturali. Che ne pensate?
L’introduzione dell’obbligatorietà delle coperture contro le catastrofi naturali, anche per le piccole-medie imprese, scatterà da gennaio 2026. La sottoscrizione della polizza sarà, tra l’altro, condizione per l’ottenimento dei finanziamenti garantiti dallo Stato. Questa prospettiva ha determinato un aumento della domanda che la nostra rete sta già intercettando con un trend in crescita.
Si tratta di uno sviluppo che apre uno spazio importante per incrementare la raccolta assicurativa e confermare la vicinanza del nostro Istituto alle aziende. Il Gruppo Banco BPM è stato tra i primi intermediari a offrire alle imprese la possibilità di assicurarsi contro questo tipo di rischi. Mettere a disposizione delle aziende strumenti di protezione adeguati contro eventi catastrofali significa non solo garantire continuità operativa in situazioni critiche, ma anche rafforzare l’equilibrio complessivo del nostro sistema economico.
Ora che gli ammontari degli NPL sembrano sotto controllo, e quindi vi sono minori necessità di trasferirli ai credit servicer, quale sarà l’effetto su quell’industria d’intermediari specializzati nata in questi anni? Sarà inevitabile un processo di concentrazione degli operatori oppure sono immaginabili nuove forme di collaborazione con l’industria bancaria, ad esempio in altri segmenti nell’iter creditizio (credit scoring, istruttorie creditizie, servizi legali, etc.) che potrebbero essere esternalizzati?
Esiste sicuramente un tema dimensionale. I servicer in molti casi si sono strutturati per far fronte alle ondate di cessioni avvenute nel 2016-2020, per esempio con le GACS, ed è una dimensione che da un lato era necessaria, dall’altro necessitava di flussi continui che ora non ci sono; quindi, è ragionevole pensare che il settore dovrà passare da una fase di concentrazione, come del resto ha già iniziato con l’operazione doValue-Gardant. Altri ambiti di collaborazione saranno possibili, anche se più complicati perché andrebbero a toccare il core business delle banche, e sono attività in cui le banche stesse sono già attrezzate.
Con l’ultima relazione semestrale, BPM ha visto scendere l’NPE ratio netto a sotto l’1%. Negli ultimi mesi il trend è rimasto immutato? Anche in relazione alla riduzione delle garanzie pubbliche sui finanziamenti bancari, siete spinti a formulare nuove stime sull’andamento dei crediti deteriorati per i prossimi anni?
Il tasso di deterioramento non sta registrando particolari variazioni. Chiaramente, le incertezze che caratterizzano lo scenario macroeconoico potranno incidere in futuro, ma per ora non si registrano aumenti significativi. Forse è possibile notare una maggiore difficoltà sulle esposizioni di minor importo, o persone fisiche o piccole imprese che subiscono di più le incertezze macro.
Per altro, faccio notare che, per Banco BPM, il tasso di default che registriamo per i prestiti garantiti dallo Stato è sostanzialmente in linea con quello dei finanziamenti non assistiti da quelle garanzie, a dimostrazione dello scrupolo e della correttezza uniformi con cui vengono effettuate tutte le nostre erogazioni.
Come il resto dei settori economici anche il mondo bancario è investito dal ciclone dell’intelligenza artificiale generativa. In quali aspetti del business del credito prevede i maggiori impatti e come lo state affrontando?
L’impatto dell’AI interessa, e influenzerà in modo sempre più sostanziale, tutti i settori dell’attività bancaria. Già oggi, l’impiego di strumenti di AI è quotidiano e in costante espansione: sia nei rapporti con la clientela, sia in ambiti relativi al funzionamento interno della banca. Banco BPM sta investendo in modo strategico sull’AI, integrandola nei processi commerciali, operativi e di gestione del rischio, con l’obiettivo di migliorare la qualità del servizio, aumentare la produttività e sostenere la crescita professionale dei dipendenti.
Utilizziamo l’AI non solo per la profilazione della clientela, ma anche per individuare i prodotti più adatti a soddisfarne i bisogni, e per accelerare e rendere più efficaci i nostri processi di valutazione del merito creditizio e di erogazione di prestiti alle imprese e alle famiglie.
L’AI viene utilizzata anche nelle attività di middle e back office, automatizzando processi ripetitivi, riducendo errori e rischi, e aumentando la produttività di almeno il 20%. L’AI è di supporto anche nella gestione dell’antiriciclaggio, aiutando a individuare i “falsi positivi” nelle segnalazioni di operazioni sospette, aumentando l’efficacia del sistema.
Sul piano occupazionale, credo che a fronte dell’erosione del numero di alcuni tipi di ruoli, crescerà la domanda di nuove professionalità e competenze che, quindi, genereranno nuovi posti di lavoro. Sicuramente, dal punto di vista qualitativo, il mix delle posizioni di lavoro cambierà: aumenteranno le posizioni a elevata specializzazione e professionalità. Come ho ricordato, in Banco BPM utilizziamo l’AI per supportare i colleghi il cui contributo, tuttavia, conserva tutta la sua importanza: l’intervento umano rimane essenziale per la decisione finale.
L’ammontare degli investimenti necessari per cogliere appieno tutte le potenzialità appare considerevole. Gli istituti di credito di medie dimensioni saranno in grado di sostenerli? Cosa è lecito attendersi?
L’adozione dell’intelligenza artificiale nel settore bancario richiede investimenti significativi, sia in termini di tecnologia che di competenze. Nel nostro piano industriale 2024-2027, per esempio, prevediamo di accelerare il processo di trasformazione digitale attraverso €800mln d’investimenti IT, che comprendono il programma di progressiva implementazione di soluzioni di AI per trasformare il nostro modo di fare banca facendo leva su soluzioni di Advanced Analytics, Machine Learning & Generative AI.
Si tratta di un impegno considerevole e, in questo senso, la dimensione del bilancio di un intermediario è un fattore chiave per sostenere adeguatamente gli investimenti. Tuttavia, per le banche medio-piccole una strada alternativa potrebbe essere quella delle partnership con imprese specializzate. Infatti, non sempre è conveniente né efficiente – nemmeno per le realtà più grandi – sviluppare internamente soluzioni tecnologiche, specialmente in ambiti con tassi d’innovazione elevati come nel caso dell’AI.
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