Da crocevia del capitalismo italiano a ponte per le Generali. Potrebbe essere descritta anche così la traiettoria di Mediobanca che ieri, per effetto dell’Opas (diventata Opas in corso d’opera) di MPS, ha perso ufficialmente la sua autonomia, diventando parte del gruppo senese. Quest’ultimo ne detiene ufficialmente il 62,3% del capitale sociale, una percentuale che potrà essere incrementata quando l’offerta verrà riaperta nella prossima settimana (dal 16 al 22 settembre), dando la possibilità agli azionisti di Piazzetta Cuccia ancora indecisi di consegnare i propri titoli al vincitore.
Mediobanca rappresentava un unicum nel capitalismo italiano. In un paese in cui nelle aziende hanno sempre prevalso gli azionisti forti (le famiglie) a dispetto dei manager — ciò che al contrario rappresenta la tipicità del capitalismo Usa — a Piazzetta Cuccia era diverso, perché sono stati sempre i manager a comandare, ad iniziare dalla carismatica figura del fondatore della banca. Proprio questa peculiarità gli ha consentito di svolgere per decenni un ruolo di regia nelle principali partite finanziarie del paese. Ora questo asset immateriale, che peraltro si era parecchio attenuato nell’ultimo periodo, è sfumato, perduto per sempre.
I nuovi assetti di controllo
Per effetto dello scambio tra titoli MPS e quelli di Mediobanca cambierà fortemente l’assetto azionario della banca senese. Ipotizzando che le adesioni restino al livello attuale — ha calcolato MF — Delfin salirebbe al 20,3% del Montepaschi, Caltagirone al 13% e l’Enpam al 2,5%, mentre il Tesoro si diluirebbe al 5,7% e BPM al 4,5%.
In capo alla coppia Caltagirone-Delfin, se fosse accertato un concerto, non insorgerebbe un obbligo di Opa totalitaria sulle rimanenti azioni di MPS, essendo superata la soglia d’Opa del 30%? La Consob dovrebbe incaricarsi di fare una verifica, ma non sembra che se ne stia occupando.
A dirla tutta, c’è anche una regola del Testo unico bancario (TUB), art. 22-bis, che affida alla Banca d’Italia l’autorizzazione preventiva della «acquisizione o la detenzione di partecipazioni da parte di più soggetti che, in base ad accordi in qualsiasi forma conclusi, ancorché invalidi o inefficaci, intendono esercitare in modo concertato i relativi diritti, quando tali partecipazioni, cumulativamente considerate, raggiungono o superano le soglie indicate nell’articolo 19 (10-20-30 e 50 per cento, ndr.) oppure comportano la possibilità di esercitare il controllo o un’influenza notevole».
Via Nazionale l’ha concessa? Anche in questo caso non è dato saperlo. Sullo sfondo c’è anche l’ostilità della BCE (che esercita la sua vigilanza anche sulle grandi banche italiane) a che soci industriali esercitino il controllo su istituti di credito. Al punto che Delfin, quando ottenne nel 2020 il via libera della BCE a salire fino al 20% in Mediobanca, lo fece con l’impegno di non esercitare un’influenza significativa sulla banca.
Si attende pertanto con una certa curiosità di sapere come la Banca Centrale Europea valuterà ora la nuova situazione. Per il momento la BCE ha dato il via libera all’Opas di MPS senza soglie specifiche, stabilendo che, in caso di adesione superiore al 50%, entro sei mesi la banca senese debba presentare un piano di integrazione vero e proprio.
Il tema a questo punto si sposta sulla convenienza economica dell’operazione, cioè se Mediobanca, integrata in MPS, sarà capace di generare un maggior valore rispetto a quello realizzato finora. I dubbi non mancano, e se ne può avere un’indiretta conferma dalle difficoltà che MPS sembra stia incontrando nell’assicurare il ricambio manageriale di Mediobanca dopo le inevitabili dimissioni di Alberto Nagel (CEO) e Renato Pagliaro (presidente).
I ricavi di Piazzetta Cuccia dipendono per circa il 33% dal credito al consumo (Compass), per circa il 25% dal wealth management, il 21% dall’attività di investment banking e per circa il 15% dalla gestione di portafoglio, in cui spiccano i dividendi di Generali, dove Mediobanca ha una partecipazione del 13% che le ha sempre permesso di indicare il board triestino.
Wealth management e investment banking sembrano le attività più problematiche per la rilevanza, in quei business, di professionisti che potrebbero decidere di abbandonare la nave se non si sentissero più a loro agio con i nuovi padroni senesi. L’AD di MPS dovrà impegnarsi parecchio per evitare che ciò accada. Un eventuale sfarinamento di Mediobanca comporterebbe impairment significativi nei bilanci della controllante, che, detto di passata, non ha un rimarchevole track record nelle grandi acquisizioni (Banca Antonveneta).
Il rebus Generali
Ciò che è certo sarà l’effetto dell’Opas sugli equilibri azionari di Generali, dove finora Mediobanca, con la sua partecipazione, si è opposta fieramente alla coppia Delfin-Caltagirone, che possiedono rispettivamente il 10,05% e il 6,28% del Leone. Ora non sarà più così e, comunque la si giri, è evidente un cambio nel controllo azionario, con effetti di destabilizzazione, in tempi tutti da definire, sull’attuale management della compagnia triestina e sul suo CEO Philippe Donnet.
Anche in questo caso valgono i dubbi di concerto espressi in precedenza. Possibile che non ci sia stata un’intesa informale tra tutti i soggetti coinvolti nell’operazione — Delfin, Caltagirone, MPS e governo, che ha benedetto l’Opas di Siena — per ottenere il ribaltone nella maggiore compagnia assicuratrice del paese? «L’uomo può credere all’impossibile, non crederà mai all’improbabile», avrebbe commentato Oscar Wilde.
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