Ex Popolari Venete: il conto della liquidazione sale a oltre 17 miliardi

Più di 41 mila creditori chiedono 5,6 miliardi ai commissari ma “i soldi non ci saranno”. I liquidatori della Popolare di Vicenza sentiti in audizione al Senato

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Soci e creditori delle ex banche venete hanno presentato ai liquidatori richieste per 5,6 miliardi di euro. E il costo del default di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, otto anni dopo, sale così ad almeno 17,6 miliardi. Il conto – scrive il Corriere del Veneto – è stato aggiornato a valle dell’audizione, tenutasi giovedì scorso, in commissione banche del Senato, dei tre liquidatori di Bpvi, Giustino Di Cecco, Claudio Ferrario e Francesco Schiavone Panni.

I liquidatori Bpvi hanno depositato lo stato passivo già il 20 marzo, al Tribunale fallimentare di Vicenza. Dentro ci sono 28.599 istanze di creditori, per 3.020 milioni di euro. Per metà, 15.143, le richieste riguardano danni per le azioni azzerate delle banche, pari a 2.061 milioni; ma ci sono anche 12.611 obbligazionisti subordinati che vantano 588 milioni e 845 altri creditori, per 370 milioni. Di questi 3 miliardi, 2,8 sono di creditori chirografi, quelli a cui i commissari hanno confermato anche giovedì che «non ci sono possibilità di restituzione».

Dei 3 miliardi richiesti, i commissari ne escludono 1,6. Tra questi, chi aveva aderito all’offerta di transazione della banca nel 2017, che escludeva qualsiasi altra pretesa, e chi aveva acquistato le azioni prima del 2013.

Il conto c’è già anche per Veneto Banca, i cui liquidatori saranno pure auditi in Senato. Nello stato passivo, depositato sempre il 20 marzo, al Tribunale di Treviso, i tre commissari (Alessandro Leproux, Giuliana Scognamiglio e Giuseppe Vidau) hanno censito meno della metà delle istanze di Vicenza, 12.527, per 2.594 milioni di euro. Nove domande su dieci, 11.087, sono sulle azioni, per 1.523 milioni; ma ci sono anche 451 obbligazionisti subordinati che avanzano pretese per 634 milioni e 989 altri creditori, per 370. Dei 2,6 miliardi richiesti, i commissari ne escludono 1,6, con lo schema già applicato a Vicenza, ammettendo 1.028 milioni.

In totale, le oltre 41 mila istanze tra le due banche hanno prodotto pertanto richieste di restituzione per oltre 5,6 miliardi.

I due stati passivi fanno lievitare a oltre 17 i miliardi del conto servito per liquidare Bpvi e Veneto Banca, otto anni fa. I 5,6 miliardi si aggiungono ai 6,4 miliardi totali, divisi equamente per due, degli sbilanci di cessione, ovvero la differenza tra gli attivi (impieghi e prestiti) e i passivi patrimoniali (la raccolta dei capitali) acquistati, per un euro, dalle due banche e messi in sicurezza da Intesa Sanpaolo, pari a 102 miliardi di asset (attività per 28,1 miliardi e passività per 31,3 a Vicenza, per 20,1 e 23,3 a Montebelluna).

Differenza che andava pareggiata e che lo Stato ha caricato sulle liquidazioni, regolandola con due prestiti che Intesa ha concesso e da restituire, come stabilito dal decreto di liquidazione, davanti a tutto, attraverso le vendite di asset e il recupero dei crediti deteriorati. Di fatto, le liquidazioni fin qui hanno lavorato per restituire i due prestiti: l’ultimo conto, aggiornato a giugno 2024, parlava di 5,3 miliardi di incassi (3 a Vicenza, 2,3 a Montebelluna), di cui 5,1 girati a Intesa (per 2,8 e 2,2).

Un vincolo che si avvia alla conclusione. Nel caso di Vicenza – hanno detto i liquidatori in Senato – «il debito è ridotto a 187,4 milioni e sarà chiuso con l’ultimo versamento a dicembre» (al 30 settembre gli interessi pagati fin qui ammontavano a 161 milioni). L’elemento positivo è che almeno questo conto è risolto, senza che lo Stato, che garantiva i 6 miliardi, debba rimetterci altri soldi. Quello meno positivo è che quell’onere ha di fatto monopolizzato i recuperi, rendendo impossibile soddisfare i creditori.

Per giungere al costo totale di 17,6 miliardi occorre infine sommare una terza voce: il secondo blocco di 5,6 miliardi di euro da restituire, i 4,7 allo Stato, quelli versati a Intesa al momento della liquidazione, come capitale e oneri di ristrutturazione, e i prestiti per 960 milioni, da ripagare sempre a Intesa, che aveva regolato il conto con la banca per prestiti acquisiti prima della liquidazione e, rivelatisi poi deteriorati, restituiti ai commissari.

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