Il processo di derisking delle banche italiane: un mercato efficiente in grado di prevenire rischi futuri

Gli interventi organizzativi e gestionali adottati dalle banche per migliorare le regole di accettazione in sede di origination, monitoraggio successivo, individuazione precoce dello stato di difficoltà e gestione più efficace dei recuperi hanno dato luogo ad un robusto presidio dei rischi creditizi

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In un contesto macroeconomico internazionale caratterizzato da diversi anni da costanti tensioni e incertezze, il contenimento dei crediti deteriorati presenti nei bilanci delle banche ha rappresentato sempre di più una priorità per le Autorità dell’Unione Europea e, più in generale, per gli operatori di mercato; il tema della mitigazione dei rischi presenti nei bilanci bancari ha assunto particolare rilevanza nel nostro Paese caratterizzato dalla maggior presenza di PMI e da una forte legame fra l’economia reale e quella finanziaria in virtù della prevalente fonte di finanziamento bancaria delle piccole imprese e delle famiglie. Dopo l’importante ed efficace azione portata avanti da istituzioni, banche, investitori e servicer che ha consentito negli anni più recenti di ridurre lo stock di non performing exposure (NPE) presenti nei bilanci delle istituzioni creditizie, il consolidamento e l’evoluzione proattiva delle soluzioni sin qui adottate per migliorare gli indicatori di rischio delle banche rappresenta uno snodo fondamentale per prevenire un nuovo peggioramento della rischiosità creditizia che potrebbe derivare dal nuovo contesto macroeconomico che, se non adeguatamente contrastato, potrebbe avere conseguenze negative sulla crescita economica prospettica e sulla stabilità finanziaria.

L’esperienza degli ultimi quindici anni e gli interventi delle Autorità che si sono via via susseguiti hanno rafforzato la resilienza e la capacità del sistema bancario di fronteggiare gli effetti di crisi anche improvvise dell’economia reale. Difatti, a seguito del fallimento di alcune banche d’affari americane nel 2008 e soprattutto della successiva crisi del debito sovrano, l’economia europea e in particolar modo quella italiana hanno subito un drastico rallentamento a partire soprattutto dal 2010. A risentirne è stata dapprima l’economia reale – con un brusco calo del PIL e l’aumento dei livelli di disoccupazione – con un successivo contagio delle banche dato il loro forte legame con il settore produttivo.

La recessione economica che ne è conseguita soprattutto in Italia ha inciso fortemente sulla stabilità delle imprese, spesso operanti con una leva eccessiva in particolare in ambito immobiliare, determinando in pochi anni un cospicuo incremento delle NPE presenti nei bilanci bancari. Fra il 2008 e il 2014 i crediti deteriorati sono infatti aumentati da 131 a 350 miliardi (da 75 a 197 le sole sofferenze) e la loro incidenza sul complesso dei prestiti è salita di circa 12 punti percentuali, portando l’NPE ratio lordo a circa il 18%.

I lunghi tempi delle procedure di insolvenza e di recupero che caratterizzavano il nostro Paese – oggi in parte comunque mitigati dagli interventi di snellimento normativo intervenuti soprattutto a partire dal 2015 – in uno con le nuove normative europee volte a incentivare sempre più il derisking (in particolare norme primarie e aspettative dell’Autorità di Vigilanza sul calendar provisioning) in modo da riportare gli indicatori di rischiosità creditizia delle banche su livelli ritenuti “fisiologici” (nel 2018 l’EBA ha definito una soglia del 5% di NPE ratio per distinguere le banche più virtuose dalle meno virtuose) hanno contribuito a rafforzare i presidi di prudenza adottati dalle banche sulle NPE. Si è difatti registrato un progressivo innalzamento dei livelli coverage dei crediti deteriorati (in media il 50% del GBV a fine 2022, nonostante la minor incidenza percentuale di sofferenze rispetto al passato) che ha favorito la progressiva convergenza fra i valori di bilancio e i prezzi di mercato degli stessi crediti, consentendo l’accelerazione delle azioni di derisking grazie anche allo sviluppo di un mercato secondario sempre più efficiente, cui hanno contribuito anche gli interventi pubblici (GACS in particolare, misura non più rinnovata a partire dalla metà del 2022). In Italia si è progressivamente ampliato il numero di soggetti disposti a investire in NPE, favorendo la concorrenza nel settore a beneficio del complessivo funzionamento del mercato, e di servicer dediti alla gestione di tali asset. Tali soggetti di mercato oltre a essersi altamente specializzati hanno lavorato con le banche con l’obiettivo comune di ridurre i rischi, sperimentando via via forme innovative di cessione di NPE (pro-soluto, fondi ad apporto, cartolarizzazioni con e senza garanzia pubblica, esternalizzazione dei servizi di recupero, operazioni “miste” di cessione di NPE e delle relative strutture/società dedite al recupero delle stesse al fine di realizzare economie di scala); le soluzioni adottate hanno consentito alle banche di definire il giusto mix di interventi funzionali a traguardare gli obiettivi declinati nei propri Piani strategici in termini di impatti economici, ottimizzazione degli assorbimenti patrimoniali e rispetto dei target di NPE ratio.

L’evoluzione normativa e lo sviluppo di varie soluzioni di mercato hanno inoltre permesso di organizzare operazioni di cessione di NPE multioriginator, dando anche alle banche minori la possibilità di ricorrere a forme tecniche di deconsolidamento di NPE cui con maggiore difficoltà avrebbero potuto accedere (in primis cartolarizzazioni, anche assistite da garanzia pubblica) a motivo della particolare complessità di alcune di tali strutture e dei costi particolarmente elevati in assenza di economie di scala.

Contestualmente, gli interventi organizzativi e gestionali via via adottati dalle banche volti a migliorare le regole di accettazione in sede di origination, monitoraggio successivo, individuazione precoce dello stato di difficoltà e gestione più efficace dei recuperi hanno consentito di costituire un più robusto presidio dei rischi creditizi, contribuendo da una parte a ridurre in prospettiva le probabilità di passaggio a default dei nuovi affidamenti e dall’altra ad adottare tempestivamente tutte le misure pure previste dal framework normativo nazionale in costante evoluzione finalizzate a tutelare e sostenere le imprese in difficoltà (si vedano da ultimo gli interventi in materia di composizione negoziata della crisi). Tale evoluzione dei modelli organizzativi e gestionali è stata anche incentivata dagli interventi normativi in ambito europeo in tema di Loan Origination&Monitoring (cosiddetta “LOM”) e di New definition of default (cosiddetta “new DoD”), oltre che dalle nuove regole contabili IFRS9 che hanno introdotto più stringenti criteri di individuazione e valutazione in ottica prospettica di crediti in bonis “più vulnerabili” (cosiddetti “stage 2”) e dalle linee di policy emanate dalla BCE a partire dal 2017 sulle NPE (NPL Guidance e calendar provisioning in particolare).

Questa azione “sinergica” dei regulator e dei vari attori di mercato coinvolti ha consentito di portare l’NPE ratio lordo delle banche italiane su valori che a fine 2022 si sono attestati in media al di sotto del 3% (1,5% circa l’indicatore netto), con proiezione su livelli non superiori sulla fine del 2023 nonostante il nuovo contesto macro-economico. Parallelamente alle azioni di derisking e di riorganizzazione della filiera del credito portata avanti dalle banche, le nuove e più stringenti regole sul capitale definite dalla CRR, dal quick fix e più in generale dalla CRR2 nell’ambito del più organico framework di Basilea (la cui ultima release andrà in vigore a partire dal 2025) hanno favorito il rafforzamento patrimoniale degli intermediari creditizi, aumentandone la resilienza; a fine 2022 il CET1r medio delle banche nazionali si è attestato al 15,7%, ampiamente al di sopra delle soglie regolamentari.

In sintesi, dopo un virtuoso percorso di pochi anni le banche italiane hanno attualmente in media robuste dotazioni di capitale e contenuti livelli di NPE ratio (assistiti fra l’altro da prudenti livelli di coverage), allineati alle medie europee.

Questa situazione di contesto, assieme alle imponenti misure assunte con una rapidità senza precedenti da parte di tutte le Autorità europee e nazionali soprattutto nel corso del 2020 (politica monetaria particolarmente accomodante, PNRR, interventi sulle regole di riscadenzamento del debito/forbereance, garanzie pubbliche su crediti erogati in coerenza con quanto disciplinato dal temporary framework, allentamento delle misure di capitale/liquidità delle banche per evitare la “prociclicità”) hanno consentito al sistema bancario di superare senza particolari difficoltà la crisi seguita all’emergenza sanitaria da Covid-19 e di continuare a fornire un adeguato supporto all’economia reale. Il mutato scenario derivante dal conflitto russo-ucraino, gli effetti negativi su famiglie e imprese derivanti dalla crisi energetica che ha contribuito a innalzare il tasso di inflazione su livelli storicamente elevati e la crescita dei tassi in conseguenza degli interventi restrittivi di politica monetaria della BCE, potrebbero comunque avere impatti negativi sulla capacità delle famiglie e delle imprese (soprattutto di alcuni settori) di sostenere il debito.

A differenza del passato però, come detto, i fondamentali delle banche nazionali ed europee sono più solidi rispetto a quelli con cui hanno dovuto affrontare le precedenti crisi e sicuramente in grado molto più che in precedenza di assorbire gli effetti di nuovi shock.

Il consolidamento poi di un mercato secondario delle NPE e la permanenza di investitori nazionali ed esteri interessati ad investire in tale asset class potrebbero, come sperimentato nel più recente passato, contribuire a tenere sotto controllo gli indicatori di rischio delle banche nel caso di un eventuale peggioramento dei tassi di default, grazie alla possibilità degli stessi di accedere al mercato secondario attraverso le varie forme tecniche sinora sperimentate. In aggiunta, l’adozione entro fine 2023 da parte di tutti gli stati membri dell’Unione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative atte a consentire l’operatività transfrontaliera da parte di investitori in NPE e credit servicer (oltre che delle regole di policy in materia di best execution e l’adozione di template informativi standardizzati utilizzabili da parte degli originator bancari per la trasmissione di dati e informazioni nelle operazioni di cessione dei portafogli) dovrebbe ancor più favorire il consolidamento di un mercato europeo, unico e armonizzato, dell’acquisto e gestione degli NPE, contribuendo a rendere – almeno nelle intenzioni del regulator – il sistema finanziario ancora più efficiente e integrato, accrescendone la resilienza in caso di nuovi shock negativi.

Nella su delineata situazione di contesto nazionale e soprattutto europeo, l’eventuale adozione di misure in favore di imprese in crisi che includano anche meccanismi che consentano ai debitori inadempienti di chiudere le proprie posizioni debitorie in via “transattiva” in occasione di operazioni di cessione, potrebbero avere l’effetto di indebolire il complessivo impianto sin qui progressivamente sviluppatosi nel mercato delle NPE. Più in generale, eventuali nuovi interventi dovrebbero in ogni caso prevedere meccanismi atti a disincentivare la “credit delinquency”, situazione questa che potrebbe incidere negativamente sul business model delle banche, sul loro risk profile (e sull’asset quality in particolare) e sul relativo livello di capitalizzazione qualora l’NPE Ratio e la risultante capital encumbrance dovessero salire oltre i livelli attualmente raggiunti, limitando così la capacità delle banche di supportare l’economia reale. Tali considerazioni assumono particolare rilevanza in considerazione del peso che la stabilità del sistema bancario e finanziario risulta avere, a maggior ragione in un sistema come il nostro caratterizzato dalla forte interconnessione fra banche ed economia reale, nei meccanismi di assegnazione dei giudizi agli Stati da parte delle principali agenzie di rating.

Determinante in questa nuova fase risulta essere il ruolo di un’educazione finanziaria che, anche grazie al supporto specialistico delle banche e degli altri operatori specializzati del mercato NPE che hanno acquistato crediti deteriorati, contribuisca a facilitare l’accesso dei debitori in difficoltà alle diverse forme di intervento che l’attuale framework normativo mette a disposizione di banche e clienti per poter prevenire o fronteggiare precocemente possibili situazioni di crisi temporanea d’impresa, con l’obiettivo di favorirne il risanamento in ottica “back to bonis”, ovvero per attivare in modo tempestivo ed efficiente interventi che consentano l’uscita ordinata dal mercato in caso di irreversibilità della crisi d’impresa, contenendo in tal modo i costi complessivi per l’intero sistema.