Can “it” happen again? Le crisi, la moneta e la Favola di Kalecki

Nel 1982, dopo oltre 50 anni dalla crisi del 1929, l’economista keynesiano Hyman Minsky si domandava: «Can “it” happen again?»  rispondendo in modo affermativo. I fatti gli hanno dato ragione. Abbiamo imparato la lezione? Non pare

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L’inflazione stabilmente sopra il target e l’aumento dei tassi di riferimento in Europa e in USA, i fallimenti d’inizio anno di alcune banche americane (Silicon Valley Bank e Signature Bank), la disoccupazione che stenta a diminuire in modo deciso, le paure sulle conseguenze lunghe del Covid, la normalizzazione della politica monetaria europea con la conseguente riduzione dello stimolo all’economia, i segnali di un potenziale crollo del mercato immobiliare cinese (Evergrande e Conuntry Grade) con il possibile rischio contagio a tutto il mercato real estate, la restrizione del credito bancario e l’aumentato costo dello stesso, l’incremento del debito privato a livello globale nonché la guerra in Ucraina ci portano a domandarci se siamo difronte a un altro Minsky moment. Nel 1982, dopo oltre 50 anni dalla crisi del 1929, l’economista keynesiano Hyman Minsky si domandava: «Can “it” happen again?» (Minsky, 1982). A questa domanda Minsky rispondeva in modo decisamente affermativo. I fatti gli hanno dato ragione con la Grande Crisi Finanziaria (GCF) del 2007-2008 e con la crisi del debito sovrano del 2010-2011. Abbiamo imparato la lezione? Non pare.

L’economia mainstream ritiene che la crisi finanziaria del 2007-2008 sia stata un fenomeno estraneo al fisiologico funzionamento del mercato, il quale sarebbe sempre capace di autoregolarsi e di tornare in equilibrio. Secondo questa lettura, le crisi sarebbero provocate da semplici shock esogeni, imprevedibili e inevitabili, un po’ come i terremoti. L’economia neoclassica ha tentato di spiegare le cause della GCF anglosassone in vari modi, addossandone la colpa alternativamente o cumulativamente, tra le altre: 1) alla politica eccessivamente espansiva della Federal Reserve (Fed) di Greenspan, che avrebbe provocato la bolla immobiliare dei mutui subprime (Florio et al., 2013; Taylor, 2009); 2) alle banche americane, che – sospinte da un meccanismo perverso d’incentivi – avrebbero creato un rischio insostenibile (Rajan, 2010); 3) all’eccessivo risparmio globale accumulato soprattutto nei Paesi emergenti dell’Asia e nei Paesi produttori di petrolio (Bernanke, 2010).

Le tre spiegazioni non (mi) soddisfano, se non altro perché sono in aperto contrasto con le teorie fondanti dell’odierna economica neoclassica: 1) la tesi secondo cui la responsabilità della crisi sarebbe attribuibile alla Fed è in contrasto con la teoria quantitativa della moneta, secondo cui le banche centrali possono controllare la quantità di moneta, ma non l’offerta di credito, che dipenderebbe, invece, dalle decisioni di risparmio; 2) anche la seconda spiegazione, secondo cui “l’iceberg di rischio” (Rajan, 2006) sarebbe stato creato dal sistema bancario, contraddice l’idea neoclassica secondo cui le banche sarebbero meri intermediari tra entità in surplus di risparmio ed entità in deficit di capitale e, in questo ruolo, esse non potrebbero creare rischio tout court; 3) la tesi di Bernanke, infine, cozza apertamente con la teoria mainstream secondo cui un aumento del flusso di risparmio costituirebbe un motore di prosperità e non una fonte di bolle speculative.

Se l’economia ortodossa non è riuscita a spiegare in modo convincente il fomite della crisi (Bertocco, 2015), v’è necessità di una teoria alternativa e un buon punto di partenza per ripensare, per esempio, la politica monetaria potrebbero essere i saggi di Paolo Savona e Rainer Masera (Savona e Masera, 2023), che hanno cercato di porre le basi per un ripensamento, direi filosofico, del tema, al passo con le innovazioni tecnologiche degli ultimi anni. Ma non mancano gli spunti di altri pensatori del passato. Si potranno riprendere, per esempio, gli insegnamenti inascoltati (o mal interpretati) di economisti eretici come Keynes, Marx, Schumpeter, Minsky, Kaldor e Kalecky, che ci portano a qualificare le crisi come fenomeni endogeni rispetto alla “società economica nella quale realmente viviamo” (Keynes, 1936) e nella quale sono forze fondamentali: le innovazioni schumpeteriane (Schumpeter, 1912), l’incertezza keynesiana (Keynes, 1936; Masera, 2023) e, soprattutto, la moneta.

È a Hyman Minsky (Minsky, 1982) che va riconosciuto il merito d’aver sottolineato con forza la natura endogena delle crisi rispetto a un’economia monetaria come la nostra e ad aver teorizzato che il mercato non tende affatto verso un equilibrio stabile, ma è caratterizzato da fasi tranquille (da Grande Moderazione), i boom, che preparano le condizioni per il conseguente burst. Io penso che, in qualche modo, uno dei grandi imputati contumaci nelle analisi sulle crisi sia il debito privato, come alcune inascoltate analisi hanno evidenziato empiricamente (Vague, 2014). E, allora, torniamo all’oggi: ci sono indizi per pensare fondatamente che siamo all’alba di una possibile recessione economica o peggio di una vera e propria crisi?

Il grande economista polacco Kalecki soleva raccontare una favola, che faceva, grosso modo così: “Nell’est della Polonia, lontano da qualsiasi connessione elettrica, in un impoverito shtetl ebraico, i cui residenti erano intrappolati nel debito e vivevano a credito, arrivò un ricco e pio ebreo che si registrò all’osteria locale, prestando attenzione a saldare anticipatamente il conto dell’hotel. Il venerdì, per evitare d’infrangere il divieto del sabato di portare denaro, consegnò in custodia all’oste un biglietto da $100. La denominazione del biglietto è significativa perché la valuta polacca, lo złoty, era stata ancorata al dollaro nel 1934 al tasso di 5,26 zł. per 1$. Gli sforzi per mantenere questa parità includevano restrizioni all’emissione di banconote. Da qui l’ampio ricorso al credito informale e al debito. All’alba di domenica, il ricco e pio ebreo lasciò l’osteria prima che l’oste avesse l’opportunità di restituire il biglietto.

Dopo qualche giorno, l’oste decise che il ricco ebreo non sarebbe tornato. Così prese il biglietto da $100 e lo usò per saldare il suo debito con il macellaio locale. Il macellaio era contento e diede il biglietto a sua moglie per custodirlo. Lei lo usò per pagare i suoi debiti con una sarta locale, che confezionava abiti per lei. La sarta, anch’essa in debito, fu contenta di prendere i soldi per ripagare i suoi arretrati di affitto con il padrone di casa. Il padrone di casa fu felice di ottenere finalmente il suo affitto e diede i soldi per pagare la sua amante, che gli aveva concesso i suoi favori senza ottenere nulla in cambio per troppo tempo. L’amante fu felice perché ora poteva usare il biglietto per saldare il suo debito presso l’osteria locale dove affittava occasionalmente delle stanze.

Così fu che il biglietto tornò infine all’oste. Nonostante non fosse avvenuto alcun nuovo scambio o produzione, né era stata creata alcuna entrata, i debiti nello shtetl erano stati saldati e tutti guardavano al futuro con rinnovato ottimismo.

Un paio di settimane dopo, il ricco e pio ebreo tornò all’osteria e l’oste poté restituirgli il suo biglietto da $100. Con stupore e sconcerto, il ricco ebreo prese il biglietto, lo incendiò alla lampada a cherosene che, in assenza di elettricità, illuminava il tavolo, e usò la fiamma per accendere la sua sigaretta. Vedendo lo sconcerto dell’oste, il ricco ebreo rise e gli disse che il biglietto era comunque falso”.

Questa storiella è come un kõan: invita a meditare. Io personalmente, che non capisco molto di economia, ne traggo tre insegnamenti. Il primo insegnamento è che la Grande Crisi Finanziaria è stata causata, forse, dalla mancanza di moneta al momento di quella che Minsky chiamava la “convalida del debito” e non tanto da insolvenze e frodi, come peraltro dimostrano i lauti profitti realizzati dalla Fed e dal Tesoro americano sui mutui cartolarizzati acquistati dal sistema bancario sotto il TARP (Troubled Assets Recovery Program); il secondo insegnamento è che money matters e che la teoria neoclassica secondo cui la moneta sarebbe solo un “velo neutro”, che coprirebbe le cose che veramente contano (prodotti e servizi, ovverosia l’economia reale), non è coerente con il fatto che nel 2008 l’economia è stata salvata dalla moneta. Come disse Bernanke a un Senatore, che gli chiese cosa sarebbe successo se la Fed non fosse intervenuta con il suo pacchetto di salvataggio: «Se non lo avessimo fatto, non avremmo avuto un’economia il lunedì successivo».

Il terzo insegnamento che traggo non lo ricordo, ma, infatti, vi ho avvertito che non ne capisco molto di economia.

Mi rimane solo una domanda da fare agli economisti per domani: Can “it” happen again?

Per favore, rispondete.

Note bibliografiche

Bernanke, B. (2010), Monetary policy and the Housing Bubble, Annual Meeting of the American Economic Association.

Bertocco, G. (2015), La crisi e le responsabilità degli economisti, Milano;

Florio A., Lossani, M., e Nardozzi, G. (2013), Dalla crisi finanziaria globale a nuove regole monetarie, Soveria Mannelli;

Keynes, J. M. (1936), The general theory of employment, interest, and money, London;

Masera, R. S. (2023), Economics and Money. Political and Epistemological Perspectives of Connecting and Fault Lines: A Fil Rouge from Keynes to Digitization, in Savona P. e Masera R. S., Monetary Policy Normalization. One Hundred Years After Keynes’ Tract on Monetary Reform, Cham;

Minsky, H. (1982), Can “it” happen again? Essay on instability of finance, New York;

Rajan, R. (2006), Has Finance Made the World Riskier? in European Financial Management, 12, 4, pp. 499-533.

Rajan, R. (2010), Fault lines: how hidden fractures still threaten the world economy, Princeton;

Savona, P. e Masera, R. S. (2023), Monetary Policy Normalization. One Hundred Years After Keynes’ Tract on Monetary Reform, Cham;

Schumpeter, J. A. (1912), The theory of economic development, Cambridge;

Taylor, J. B. (2009), Getting off track: how government actions caused, prolonged and worsened the financial crisis, Standford, 2009;

Vauge, R. (2014), The Next Economic Disaster, Philadelphia.