Annullare i crediti difficili dello Stato o cederli ai privati: le difficili opzioni della politica per ridurre il “magazzino” (1273 miliardi)

Con l’audizione di Roberto Benedetti, presidente della commissione ministeriale di indagine, ha chiuso i battenti l’indagine conoscitiva promossa dalla commissione Finanze del Senato

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Annullare circa un terzo del magazzino dei crediti dello Stato (1273 miliardi al gennaio del 2025), perché giudicati inesigibili, oppure cederli a terzi con la speranza di poter recuperare qualcosa? Il dilemma si è riproposto nell’atto finale della commissione conoscitiva sul grande magazzino dei crediti dello Stato, avviata in primavera dalla commissione Finanze del Senato e sostanzialmente conclusa dall’audizione di Roberto Benedetti, presidente della commissione ministeriale insediata presso il Mef sulle stesse tematiche.

Benedetti ha illustrato ai parlamentari le conclusioni del gruppo di esperti, peraltro già rese pubbliche nelle scorse settimane (vedi Be Bankers del 19 settembre 2025).

Al termine della sua indagine la commissione ministeriale è giunta alla conclusione che una quota consistente del gran mare di crediti che lo Stato vanta da cittadini o aziende morose (crediti erariali, previdenziali o relativi a tributi locali) dovrebbe essere annullata perché considerata non più esigibile (per 338 miliardi) e, per altri 70 miliardi, riconsegnata dall’ente per la riscossione (Ader) alle amministrazioni di provenienza, con l’obiettivo di tentare di recuperare qualcosa.

In tutto (408 miliardi) sparirebbe dai radar dell’Ader circa un terzo dei crediti totali e l’Agenzia per la riscossione potrebbe concentrare la sua attività sulle partite più facilmente aggredibili.

Ma prima di cancellare questa enorme quota di attivi – ha chiesto in commissione il presidente Massimo Garavaglia – perché non cederla a privati che potrebbero meglio gestire quei crediti difficili?

Sulla strada delle cessioni ci sono gli ostacoli contabili dell’Eurostat, richiamati dal Ragioniere Generale dello Stato Daria Perrotta, audita dalla commissione parlamentare nell’aprile scorso. In pratica, secondo l’ente europeo, il corrispettivo derivante dalla cessione pro soluto dei crediti equivarrebbe all’accensione di un nuovo debito pubblico, stante il carattere inalienabile della funzione dello Stato nel riscuotere le tasse.

Quel «debito», benché pro soluto, verrebbe scontato attraverso il successivo recupero dei crediti da parte dei servicer incaricati dell’operazione. Tuttavia, perché rinunciare a tanti miliardi di crediti – è in sintesi il ragionamento di Garavaglia – soltanto per evitare di contabilizzarne una frazione come debito pubblico?

«L’ipotesi non l’abbiamo scartata – ha risposto Benedetti – noi non abbiamo scartato nessuna ipotesi, in realtà abbiamo soltanto fatto un ventaglio di possibili soluzioni sulle quali poi c’è la scelta della politica, perché il tecnico arriva fino a un certo punto».

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