Codice della crisi: una tastiera più ampia a disposizione delle imprese in difficoltà ma da utilizzare con accortezza

Un articolo di “Italia Oggi” si sofferma sull’utilizzo dell’esercizio provvisorio nell’ambito di una procedura di liquidazione. “Il Sole 24 Ore”, in due distinti articoli, si sofferma sul concordato preventivo e sul concordato semplificato

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Il Codice della crisi ha allargato significativamente la tastiera a disposizione di un’azienda in difficoltà per giungere a un’intesa con i creditori oppure a un processo ordinato di liquidazione. I nuovi strumenti vanno tuttavia utilizzati con accortezza, evitando facili scorciatoie. Il Sole 24 Ore e Italia Oggi hanno analizzato in questi giorni alcune delle fattispecie più discusse, anche alla luce delle più recenti decisioni della magistratura.

Italia Oggi, in particolare, si è soffermata sull’esercizio provvisorio dell’impresa, disciplinato dagli artt. 211 e seguenti del Codice della crisi, in grado di evitare la dispersione del valore dell’impresa, rappresentando un’alternativa alla liquidazione atomistica. È un approccio – spiega il giornale – che «supera il concetto di liquidazione come smembramento: un’azienda può avere un valore maggiore se può continuare a operare, direttamente o indirettamente, attraverso l’affitto o la cessione dell’azienda in attività. La sfida è cogliere il potenziale economico dell’azienda anche in uno stato di funzionamento temporaneo».

Non sempre ne ricorrono le condizioni. Perdita di figure chiave, autorizzazioni o clienti possono rendere l’esercizio provvisorio inutile o dannoso. In questi casi, si valuta il valore di liquidazione, ovvero la somma dei valori aziendali.

L’aspetto centrale è il valore che l’esercizio provvisorio può apportare all’impresa potendo contare sulla continuità aziendale. «Il valore tra liquidazione e continuità – osserva l’articolo – è ibrido: un valore ‘in funzione della cessione’ per un’impresa operativa temporaneamente e sotto il controllo del curatore. Non c’è un piano industriale né un imprenditore che esprima una strategia: il valore dipende dalle condizioni di mercato, dall’interesse di potenziali acquirenti e dalle performance attese durante l’esercizio provvisorio. La valutazione integra elementi di continuità (relazioni commerciali, contratti, capitale umano) con quelli di liquidazione (limitazioni agli investimenti, rischio di dispersione del know-how, scadenze procedurali), generando un ‘valore intermedio’ tra la stima in going concern e il valore di smobilizzo puro».

Il Sole 24 Ore ha approfondito gli aspetti che devono caratterizzare il concordato preventivo, prendendo spunto dall’ordinanza n. 8365 della Corte di Cassazione del 30 marzo scorso. Con la loro decisione, gli ermellini hanno osservato che il concordato preventivo di una holding basato su un piano che si limiti a prevedere la dismissione ordinata delle partecipazioni e lo smantellamento progressivo della propria struttura – il caso sottoposto al loro giudizio – non può definirsi in continuità.

Così, il piano deve qualificarsi liquidatorio, con tutte le conseguenze del caso, tra cui l’applicabilità del limite minimo di soddisfazione dei creditori chirografari del 20% e l’obbligo di contribuzione della compagine sociale pari al 10% dell’attivo. «La continuità – spiega il giornale – presuppone altro, secondo la Cassazione: deve sopravvivere alle dismissioni un nucleo aziendale minimo, adeguato all’esercizio dell’originaria attività di impresa».

In un altro articolo, Il Sole 24 Ore si è soffermato sull’accesso al concordato semplificato, giudicandolo «un last shot nelle mani dell’imprenditore che abbia tentato inutilmente il percorso della composizione negoziata». È una sorta di «ultimo treno per Yuma» che tuttavia ha bisogno di alcuni presupposti. In particolare – sottolinea l’articolo – «può dirsi che il concordato semplificato – stante la premialità che lo contraddistingue rispetto al concordato tradizionale – è l’ultimo lascito della buona fede che ha caratterizzato le trattative con i creditori. Senza rispetto della buona fede nelle trattative (che costituisce la cifra della composizione negoziata), il concordato semplificato a valle, come la composizione negoziata a monte, si trovano in un vicolo cieco».

In questa direzione vanno alcune recenti pronunce della magistratura, tra cui quella del Tribunale di Bologna (decreto 18 marzo 2025), che – rilevata la presenza di plurimi elementi contrari all’ammissibilità della domanda di concordato semplificato – ha rigettato l’istanza di concessione del termine previsto dall’art. 44 del Codice della crisi, revocando le misure protettive di cui all’art. 54.

Nel caso di specie, in particolare, il debitore, lungi dall’essersi attivato per formulare ai creditori una proposta seria – rivelatasi poi non percorribile per cause a lui non imputabili – non aveva avviato concrete negoziazioni con i creditori. Ciò che, a giudizio del tribunale, ha minato la sua credibilità ed impedito l’accesso al concordato semplificato.