Composizione della crisi: il blocco delle linee di credito va giustificato

Lo ha stabilito un’ordinanza del tribunale di Bologna. Pronuncia della Cassazione interviene in tema di sequestro preventivo per reati tributari in un’azienda ammessa alla composizione negoziata

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Se l’impresa è inadempiente nelle proprie obbligazioni bancarie ma va in composizione negoziata della crisi, la banca non è abilitata – per la sola messa in composizione negoziata della crisi – a chiudere i rubinetti del credito senza un’adeguata motivazione. È, in sintesi, quanto ha stabilito il tribunale di Bologna in un’ordinanza (6 giugno 2024) di cui ha riferito Il Sole 24 Ore.

L’azienda debitrice si era rivolta ai magistrati chiedendo di applicare nei confronti delle banche la misura protettiva del divieto di rifiutare unilateralmente – in ragione del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto all’istanza di accesso alla composizione negoziata della crisi – l’adempimento dei contratti pendenti a danno dell’imprenditore. E, in subordine, la concessione della misura cautelare di obbligare le banche a garantire o ripristinare l’utilizzo delle linee operative sospese e, in ogni caso, a vietare l’adozione di provvedimenti finalizzati alla risoluzione o alla modifica dei relativi contratti.

I giudici bolognesi hanno rilevato che le richieste erano strumentali ad assicurare la prosecuzione dell’attività d’impresa nel corso del tentativo di risanamento. Peraltro, l’articolo 16, comma 5, del Codice della crisi d’impresa stabilisce che la presentazione di un’istanza all’accesso alla composizione negoziata della crisi non può di per sé sola integrare giusta causa di recesso dell’istituto bancario dai contratti ancora pendenti, considerato il ruolo fondamentale che gli istituti di credito svolgono nel tentativo stragiudiziale di salvataggio dell’impresa in crisi.

Le condizioni per usufruire della misura cautelare – hanno osservato i magistrati – risiedevano nell’idoneità della misura cautelare a proteggere il buon esito delle trattative, nella possibilità di successo di un progetto di risanamento stragiudiziale attraverso gli accordi con i creditori (fumus boni iuris) e nella valutazione delle infauste conseguenze derivanti dall’impresa dall’interruzione delle linee di credito (periculum in mora).

Su quest’ultimo punto, il tribunale emiliano ha osservato che il mantenimento delle linee di credito a supporto del capitale circolante dell’azienda avrebbe avuto un impatto significativo sul piano di risanamento proposto dalla debitrice. I giudici bolognesi hanno, pertanto, concesso la misura cautelare inibitoria, stigmatizzando la condotta delle banche che – senza motivazione alcuna, né tantomeno con riferimento a concrete fattispecie di vigilanza prudenziale – si erano limitate a sospendere l’apporto di finanza alla debitrice, senza procedere a una rivalutazione complessiva del merito creditizio.

In tema di composizione negoziata della crisi c’è anche da segnalare una pronuncia della Cassazione penale (sez. 30109/2025) di cui riferisce Italia Oggi. Gli ermellini hanno annullato il sequestro preventivo per reati tributari disposto a carico dell’imprenditore e della società in virtù della composizione negoziata della crisi cui risulta ammessa l’azienda. E ciò perché – hanno sostenuto – la continuità aziendale autorizzata dal giudice civile esclude il periculum in mora, cioè la necessità di anticipare gli effetti della confisca su beni che altrimenti potrebbero risultare dispersi al momento della condanna definitiva.