Crediti in sofferenza e strutture di servicing nelle operazioni di cartolarizzazione mono-tranche: un puzzle normativo

I problemi di coordinamento tra la nuova disciplina e le previsioni della legge sulla cartolarizzazione (legge 30 aprile 1999, n. 130)

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Gli effetti potenzialmente dirompenti delle novità introdotte dalla Direttiva UE 2021/2167 relativa ai gestori e agli acquirenti di crediti deteriorati sullo status quo del mercato dei crediti deteriorati hanno suscitato fin dalla sua adozione un acceso dibattito tra gli operatori del settore.

Più di recente, la presentazione da parte del Governo di uno schema di decreto attuativo ha ulteriormente ravvivato il confronto tra coloro che condividono l’opportunità di un intervento de minimis, strettamente volto ad assicurare il rispetto dei nostri obblighi in sede europea, da un lato, e chi lamenta le aporie della regolamentazione complessiva di settore che appare incoerente e frammentaria, dall’altro.

Partendo dalla normativa di attuazione nel testo proposto in consultazione pubblica, il presente contributo intende soffermarsi, più limitatamente, su alcuni possibili difetti di coordinamento tra la nuova disciplina e quanto previsto dalla legge 30 aprile 1999, n. 130 (legge sulla cartolarizzazione).

Cenni sui principi informativi della Direttiva e sulle scelte operate in sede di attuazione

La Direttiva costituisce per molti versi una delle principali riforme realizzate a livello europeo in risposta alla crisi finanziaria dei primi anni 2000 e alla conseguente proliferazione dei cc.dd. Non-Performing Loans (NPLs). Al fine di agevolare la riduzione degli attuali stock di crediti deteriorati sui bilanci bancari e prevenirne un eventuale eccessivo accumulo in futuro, la Direttiva ha come obiettivo dichiarato la creazione di un efficiente mercato secondario dei crediti deteriorati.

Tale obiettivo è perseguito attraverso la creazione di un mercato europeo competitivo e integrato attraverso la rimozione degli ostacoli creati da divergenti regimi nazionali relativamente non solo agli acquirenti di crediti ma anche (e, verrebbe da dire, soprattutto) ai gestori di crediti. Con una certa dose di innovatività (quanto meno rispetto al nostro ordinamento, in cui l’acquisto di crediti ha tradizionalmente costituito attività finanziaria riservata), la Direttiva ha introdotto il principio di liberalizzazione dell’attività di acquisto di crediti deteriorati. L’eliminazione (ove presente) di un regime autorizzativo in tale ambito trova la propria giustificazione concettuale nella consapevolezza che “gli acquirenti di crediti [deteriorati] 1 non destano preoccupazioni sotto il profilo prudenziale e il loro potenziale contributo al rischio sistemico è trascurabile” in quanto essi “non creano nuovi crediti ma, al contrario […], acquistano a proprio rischio solo contratti di credito deteriorato esistenti” 2.

Tale liberalizzazione è però controbilanciata dall’introduzione, a carico degli acquirenti, dell’obbligo di affidare le attività di gestione dei crediti ceduti a soggetti all’uopo autorizzati e che soddisfino certi requisiti minimi organizzativi, reputazionali, di competenza ed esperienza. Secondo un modello che richiama la distinzione tra master servicer e special servicer nota nel settore delle cartolarizzazioni, il gestore di crediti può esternalizzare, sotto la propria responsabilità, parte dell’attività a “fornitori di servizi di gestione dei crediti” (i quali non sono però soggetti ad alcuna disciplina autorizzativa specifica).

I principi che informano la normativa europea così tratteggiati per sommi capi, sono stati recentemente riflessi nello schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva 3 che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sottoposto a pubblica consultazione fino allo scorso 29 febbraio e del quale gli operatori di mercato sono quindi in attesa di conoscere il testo definitivo.

Data l’importanza che il mercato dei crediti deteriorati ha assunto in Italia nel corso degli ultimi anni, lo schema di decreto è stato oggetto di accurato scrutinio da più parti e ha stimolato un ampio dibattito su aspetti sia di portata generale sia di dettaglio. Non è certamente questa la sede, per procedere ad un’analisi dell’approccio seguito dal MEF né ad una ricognizione delle opinioni variamente espresse sulla stampa specializzata.

La collocazione delle cartolarizzazioni mono-tranche di crediti in sofferenza nel nuovo contesto regolamentare

Ai fini che qui interessano, due appaiono essere le scelte che il legislatore sembrerebbe intenzionato ad effettuare che, a parer nostro, potrebbero essere foriere di implicazioni sul mercato domestico delle cartolarizzazioni. In particolare, riprendendo quanto indicato nel documento con cui lo stesso MEF ha avviato il processo di consultazione pubblica, la Direttiva ha rimesso agli Stati Membri alcuni spazi di flessibilità, tra cui la possibilità di escludere dall’ambito di applicazione della normativa di attuazione, da un lato, i crediti deteriorati derivanti da contratti non scaduti, scaduti da meno di 90 giorni o non risolti conformemente al diritto civile nazionale, e, dall’altro lato, la gestione di crediti realizzata nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione di cui all’articolo 2, punto 2, del Regolamento (UE) 2017/2402. A tal proposito, nell’ambito di tali discrezionalità previste dalla Direttiva, tra le scelte di policy effettuate dal MEF assume rilievo la decisione di “limitare la liberalizzazione dell’acquisto a titolo professionale di crediti ai soli crediti classificati in sofferenza secondo le disposizione attuative della Banca d’Italia” 4 e di “escludere dal nuovo regime la gestione di crediti in sofferenza realizzata nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione in cui l’acquirente dei crediti si qualifichi come Securitization Special Purpose Entity (SSPE) ai sensi della disciplina unionale” 5.

Guardando al mercato domestico delle cartolarizzazioni e intersecando queste due direttrici di politica legislativa, si può ragionevolmente concludere che un primo punto di contatto tra la nuova disciplina e legge sulla cartolarizzazione dovrebbe essere rappresentato da quelle operazioni di cartolarizzazione che abbiano ad oggetto “crediti classificati in sofferenza secondo le disposizione attuative della Banca d’Italia” e in cui l’acquirente dei crediti non è una società veicolo come definita dall’articolo 2, punto 2, del Regolamento (UE) 2017/2402. Più semplicemente, le operazioni di cartolarizzazione di crediti in sofferenza di tipo mono-tranche (in cui, cioè, non si realizza una segmentazione del rischio di credito associato al sottostante portafoglio di esposizioni in sofferenza) sembrano poter astrattamente rientrare nell’ambito di applicazione della normativa di attuazione della Delibera come attualmente ipotizzata nello schema di decreto legislativo.

Così identificato lo specifico angolo visuale da cui si intende analizzare la nuova normativa, non si può fare a meno di notare come la legge sulla cartolarizzazione contempli un unico modello di servicing, come tale applicabile sia alle cartolarizzazioni con tranching sia a quelle mono-tranche (pertanto, prive di tranching) 6. Come noto, tale modello prevede che “la riscossione dei crediti ceduti”, “i servizi di cassa e pagamento” e la verifica della conformità dell’operazione alla legge e al prospetto informativo siano affidati a banche o intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del TUB ovvero ancora ad altri soggetti che, pur non esercitando alcuna attività finanziaria (e che, quindi, non si qualificano come intermediari finanziari), possiedano i requisiti per l’iscrizione a tale albo e ottengano tale iscrizione.

È proprio a questo punto del discorso che, a nostro avviso, le nuove previsioni del TUB e quelle della legge 30 aprile 1999, n. 130 vengono più strettamente in contatto e, potenzialmente, in conflitto. In base allo schema di decreto, l’acquisto di “crediti in sofferenza” non costituisce attività riservata qualora l’“acquirente di crediti in sofferenza” (vale a dire, per le motivazioni già viste, anche la società di cartolarizzazione nel contesto di una operazione mono-tranche) affidi a un “gestore di crediti in sofferenza” (per ciò intendendosi, una delle società iscritte nell’apposito albo di cui è prevista la costituzione dal nuovo decreto), un “gestore di crediti dell’Unione europea” (in altre parole, un’impresa autorizzata ai sensi della Direttiva in altri Stati Membri), una banca o un intermediario iscritto nell’albo previsto dall’articolo 106 del TUB, la “gestione di crediti in sofferenza”. Stando alla definizione fornita dallo schema di decreto, tale gestione include, tra l’altro, “la riscossione e il recupero dei pagamenti dovuti dal debitore” e, sotto questo profilo, appare nella sostanza collimante con l’attività di “riscossione dei crediti ceduti” prevista dall’art. 2, comma 3, lett. c), della legge sulla cartolarizzazione.

Ciò detto, un’operazione di cartolarizzazione mono-tranche di crediti in sofferenza in cui la riscossione e il recupero dei pagamenti dovuti dal debitore e le altre attività di “gestione di crediti” 7 siano affidate ad una banca o ad un intermediario finanziario iscritto nell’albo previsto dall’articolo 106 del TUB dovrebbe risultare conforme alla Direttiva 8. D’altro canto, il fatto che la legge sulla cartolarizzazione precluda alla società per la cartolarizzazione la facoltà di affidare tali attività a un gestore di crediti autorizzato ai sensi della Direttiva potrebbe costituire, parafrasando il considerando (40) della Direttiva stessa, un ostacolo creato dalla normativa nazionale alla possibilità per “gestori di crediti dell’Unione europea” (e, forse, anche per quelli domestici) di beneficiare dei vantaggi del mercato unico di nuova creazione. In altre parole, questa limitazione potrebbe costituire, per i gestori di crediti, una barriera all’ingresso ad un segmento rilevante del mercato secondario dei crediti deteriorati oggetto di armonizzazione (vale a dire, il segmento identificato dagli acquirenti di crediti in sofferenza che siano società costituite ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130 nel contesto di operazioni prive di tranching).

Qualora si ritenesse che queste argomentazioni possano avere del merito, si porrebbe quindi la necessità di valutare eventuali adeguamenti alla legge sulla cartolarizzazione che ne consentano il riallineamento rispetto agli obiettivi della Direttiva.

Modelli di servicing a confronto

L‘idea di fondo è quella di valutare quali elementi di flessibilità possano essere inseriti nel modello di servicing attualmente previsto dalla legge 30 aprile 1999, n. 130, che permettano di soddisfare la legittima aspettativa dei “gestori di crediti” (come definiti nella Direttiva) di poter svolgere la propria attività anche nel segmento di mercato sopra considerato. Un correttivo piuttosto semplice e che si porrebbe in continuità con l’approccio attualmente seguito in molte operazioni di cartolarizzazione di esposizioni deteriorate, potrebbe essere quello di permettere espressamente al servicer (come attualmente identificato all’art. 2, comma 6, della legge 30 aprile 1999, n. 130) di esternalizzare le attività di “gestione di crediti in sofferenza” di cui allo schema di decreto ai “gestori di crediti” (come definiti nella Direttiva). In sostanza, si tratterebbe di sdoganare a livello di normativa primaria il modello di servicing noto nella prassi come “double-decker structure” in cui il master servicer delegherebbe la gestione operativa ad uno special servicer (in ipotesi, il “gestore di crediti”) mantenendo il primo le funzioni di supervisione e monitoraggio 9.

Questa soluzione si espone a possibili censure in quanto inidonea a realizzare pienamente gli effetti desiderati. A stretto rigore, infatti, nella prospettiva della Direttiva, il master servicer assumerebbe il ruolo formale di “gestore di crediti” (essendo il soggetto a cui l’“acquirente di crediti” affiderebbe in via diretta la gestione) mentre lo special servicer (vale a dire, in ipotesi, il gestore autorizzato ai sensi della Direttiva) costituirebbe un mero “fornitore di servizi di gestione dei crediti”, a cui sarebbe peraltro preclusa, per espressa previsione di legge, la possibilità di svolgere “tutte le attività di gestione dei crediti contemporaneamente” (cfr. art. 12, comma 1, lett b), della Direttiva).

Una seconda possibile opzione potrebbe consistere nell’adozione di un modello di servicing per così dire “unitario”, ai sensi del quale, limitatamente alle operazioni di cartolarizzazione mono-tranche (esclusivamente) di crediti in sofferenza, la società di cartolarizzazione potrebbe nominare quale servicer ai sensi dell’art. 2, comma 6, della legge 30 aprile 1999, n. 130, oltre ai soggetti già ivi identificati, anche coloro che siano “gestori di crediti in sofferenza” o “gestori di crediti dell’Unione europea” (secondo la nomenclatura dello schema di decreto). Questa soluzione presupporrebbe l’adozione da parte del legislatore di una scelta di policy di fondo che, per certi versi, imporrebbe il superamento dell’impostazione tradizionalmente seguita dal nostro ordinamento in materia di cartolarizzazioni, che richiede l’esistenza all’interno dell’operazione di un soggetto con obblighi di monitoraggio sulla stessa (il servicer, per l’appunto) che è sottoposto alla vigilanza diretta del regolatore italiano.

Da ultimo, si potrebbe ipotizzare l’introduzione di un’innovativa struttura di servicing, che definiremmo “a raggiera”, che permetterebbe di ripartire le attività di servicing tra due delegati diretti della società per la cartolarizzazione e, in particolare, l’attività di riscossione dei crediti ceduti ad uno special servicer (che, in ipotesi, potrebbe essere un “gestore di crediti”), da un lato, e l’attività di monitoraggio sull’operazione complessivamente intesa ad un master servicer (che rientri tra i soggetti attualmente individuati dall’art. 2, comma 6, della legge sulla cartolarizzazione), dall’altro lato. Si tratterebbe, in sostanza, di un modello che ripercorre l’impostazione adottata nell’ambito della stessa legge sulla cartolarizzazione laddove per determinate fattispecie (conversione di crediti deteriorati in azioni, quote, strumenti partecipativi, concessione di finanziamenti al fine di favorire il ritorno in bonis del debitore e operazioni di cartolarizzazione c.d. “immobiliare” ex art. 7.2) è previsto chela società per la cartolarizzazione nomini sia il servicer sia il soggetto cui è delegata l’attività di gestione e amministrazione degli attivi ai sensi dell’art. 7.1, comma 8. Una tale soluzione, pur richiedendo una revisione del ruolo tipicamente unitario del servicer e la definizione di opportuni presidi in grado di garantire l’effettiva capacità del master servicer (e per il suo tramite, del regolatore) di svolgere le proprie funzioni di controllo sulle attività di gestione svolte dallo special servicer, introdurrebbe, a parere di chi scrive, quegli elementi di flessibilità necessari per stemperare le vischiosità che la normativa domestica potrebbe presentare rispetto agli obiettivi della Direttiva salvaguardando, al contempo, la capacità dell’Autorità di Vigilanza di mantenere un referente diretto e qualificato all’interno dell’operazione.

Considerazioni finali

Con l’adozione della Direttiva e delle relative disposizioni nazionali di attuazione, l’ordinamento europeo e quelli dei singoli Stati Membri hanno avviato un processo volto alla creazione di un unico mercato secondario dei crediti deteriorati, integrato e competitivo. Come accaduto in passato per simili iniziative, il percorso si preannuncia lungo e tortuoso e richiederà con ogni probabilità aggiustamenti in corsa di vario genere.

Ciò varrà ancor di più per quegli ordinamenti che, come il nostro, hanno già in essere regimi giuridici evoluti a presidio di materie che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva o ad esso affini o limitrofe. Di questo ne sono testimonianza le riflessioni svolte nel presente contributo, che hanno messo in luce come anche solo lievi sovrapposizioni tra discipline possano richiedere al legislatore il ripensamento sotto una nuova luce di impostazioni da tempo consolidate.

D’altro canto, il nostro legislatore ha dimostrato più volte nel corso degli ultimi anni un notevole grado di creatività nell’approntare soluzioni efficaci a sostegno del mercato dei crediti deteriorati per preservarne e potenziarne la funzione di infrastruttura strategica in grado di assorbire masse rilevanti di attivi non performanti prodotte dal sistema bancario in occasione di downturn economici. In molti casi, queste innovazioni giuridiche, talvolta a dir poco sperimentali, possono apparire per certi versi dissonanti rispetto all’impostazione più tradizionale eppure sono, a parer nostro, un segno dei tempi e del dinamismo del settore economico di riferimento.

* Si ringrazia l’Avvocato Luca Marzolla per l’importante apporto fornito nella predisposizione del presente contributo.

  1. N.d.A.
2. Cfr. considerando (40) della Direttiva.
3. Si tratta, principalmente, della bozza di un nuovo Capo II all’interno del Titolo V del TUB, che introdurrebbe i nuovi articoli da 114.1 a 114.14.
4. Verbatim dal predetto documento del MEF di avvio della consultazione pubblica. Questo aspetto dello schema di decreto è stato da alcuni criticato in quanto, in una prospettiva di sistema, comporterebbe una “frammentazione e complicazione dei regimi disciplinari” applicabili (così A. A. Dolmetta, U. Malvagna, A. M. Aromolo de Rinaldis, “Gestori di NPL: ragioni di perplessità sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva UE 2021/2167”, in Diritto Bancario, marzo 2024).
5.Verbatim dal predetto documento del MEF di avvio della consultazione pubblica.
6. Queste due tipologie di operazioni di cartolarizzazione sono di solito facilmente distinguibili tra loro in quanto, nel caso di operazioni cc.dd. con tranching, la società di cartolarizzazione emette una pluralità di classi di titoli “asset-backed” con diversa seniority (vale a dire, aventi, tra loro, diversi livelli di subordinazione in sede di distribuzione dei proventi dell’operazione e, corrispondentemente, una diversa esposizione alle relative perdite), mentre, nel caso di operazioni mono-tranche, viene emessa un’unica classe di titoli (per cui i relativi investitori assumono il medesimo rischio di credito e rischio di perdita associati alle esposizioni cartolarizzate).
7. Vale a dire, la rinegoziazione dei termini e delle condizioni contrattuali con il debitore, la gestione dei reclami dei debitori e l’informativa al debitore della variazione dei tassi di interesse e degli oneri o a ogni pagamento dovuto.
8. A tale riguardo, si fa presente che, ai sensi dell’art. 32 della Direttiva, gli Stati membri in cui esistono regimi equivalenti o più rigorosi rispetto a quelli previsti nella Direttiva in relazione all’attività di gestione dei crediti, possono consentire ai soggetti che già svolgono attività di gestione dei crediti nell’ambito di tali regimi al 30 dicembre 2023 di essere automaticamente riconosciuti come gestori di crediti autorizzati dalle disposizioni nazionali di recepimento. Lo schema di decreto legislativo, all’art. 114.2, prevede su queste basi che la gestione possa essere svolta anche da banche e intermediari finanziari. Non è, peraltro, chiaro se l’impostazione seguita dal MEF sia in linea con i contenuti della deroga prevista dalla Direttiva, che in vero sembra applicarsi solo ai soggetti che svolgano l’attività di gestione a una certa data (vale a dire, il 30 dicembre 2023), implicitamente escludendo coloro che, pur essendo assoggettati a tali regimi equivalente o più rigorosi, avviino l’attività dopo tale data.
9. Questo tipo di esternalizzazione è al momento già contemplato dalle disposizioni di vigilanza di Banca d’Italia con riguardo alla possibilità che la banca o l’intermediario finanziario interessato proceda alla delega di attività connesse con la riscossione dei crediti a favore di soggetti diversi da banche e intermediari finanziari iscritti nell’albo ex art. 106 TUB (si veda la nota di chiarimenti alla Circolare 288/2015 della Banca d’Italia), ivi inclusi pertanto agenti di recupero stragiudiziale di crediti per conto terzi, muniti di licenza ex art. 115 TULPS.