Fondi ad apporto: Efesto (Finint-doValue) gestisce crediti deteriorati per 2,4 miliardi (Gbv)

Mirko Briozzo, country manager di doValue, e Mauro Sbroggiò (AD Finint) ripercorrono con MF la storia e le prospettive del fondo

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Mirko Briozzo, Country Head Italia di doValue

Un gross book value (Gbv) di 2,4 miliardi, cresciuto di sei volte dal 2020, frutto di crediti deteriorati ceduti da 17 banche. Sono i principali numeri di Efesto, tra i maggiori fondi italiani ad apporto, piattaforma di investimento in prestiti deteriorati strutturata come veicolo alternativo di tipo chiuso riservato a istituzionali.

Il fondo – ha spiegato un lungo articolo pubblicato su MF – è stato istituito da Finint Investments (gruppo Banca Finint), che lo gestisce e lo promuove assieme a doNext, società del gruppo doValue, in qualità di gestore dei crediti conferiti.
«Il fondo nasce nel 2020, il primo nel nostro settore con un approccio multi-originator (ovvero con più soggetti che cedono i crediti, ndr) e aperto alla diversificazione degli attivi» – ha spiegato Mirko Briozzo, country head Italia di doValue.

I suoi investitori sono essenzialmente banche e loro controllate. Il veicolo investe in esposizioni non performing tramite la sottoscrizione di note di cartolarizzazione con sottostante crediti deteriorati. Si tratta di uno strumento che consente la segregazione di attivi che escono dai bilanci delle banche cedenti, con l’obiettivo di affidare tali asset a operatori specializzati che si occupano di recuperarli.

Il portafoglio è composto da crediti bancari classificati come “unlikely to pay” (utp), un’espressione che si riferisce a crediti che si stima difficilmente saranno pagati, riconducibili a PMI in diversi settori. Efesto appartiene alla famiglia dei cosiddetti fondi ad apporto, ovvero quei comparti che acquisiscono le esposizioni tramite apporto dalle banche cedenti, che ricevono in contropartita quote del fondo comune.

«Finint Investments è oggi leader in Italia nella gestione dei fondi ad apporto con una quota di mercato del 40% circa» – ha sottolineato Mauro Sbroggiò, AD di Finint Investments. «Efesto è nato da un approccio pionieristico che ha coniugato tecniche di finanza strutturata alla normativa dei fondi alternativi di investimento».
Obiettivo di rendimento? «Il fondo valorizza i crediti non performing oggetto di acquisizione sulla base di un rendimento atteso al 2030 del 5%».

Le attività di recupero dei crediti, come da standard nelle operazioni di cartolarizzazione, sono affidate – con un processo di delega strutturato – a uno special servicer. Nel caso di Efesto questo ruolo è ricoperto dal gruppo doValue, mentre Finint Investments, come gestore, esercita le scelte decisionali di investimento e l’analisi del patrimonio del fondo.

Il fondo non si occupa soltanto di recuperare i crediti deteriorati. Il suo «obiettivo primario» – ha sottolineato Briozzo – è anche quello di sostenere il rilancio aziendale: il team di doNext, sotto la guida di Giuseppe Bandini sin dalla gestazione del progetto, stimola i debitori ad avviare un processo di rilancio aziendale e di ristrutturazione. Per far questo, Efesto ha anche la possibilità di concedere nuova finanza a un ristretto numero di posizioni.

«La creazione di un portafoglio di crediti ceduti da un numero ampio di istituti di credito ma gestito da un unico servicer permette di ottenere benefici quali costi inferiori rispetto alla gestione di un singolo debitore e un’efficiente diversificazione per settore di appartenenza» – ha detto ancora Briozzo.

In che direzione sta andando il mercato?
Dal 2020, anno di avvio di Efesto, si è registrato «un forte incremento dei player che operano con modalità equivalenti al nostro fondo, ovvero tramite apporto di crediti» – ha sottolineato Sbroggiò.
Il gross book value delle esposizioni non performing gestite tramite tali fondi è passato dai 6 miliardi circa del 2020 ai 10,5 miliardi di fine 2024.
Se si risale al 2016, primo anno di gestione di crediti non performing tramite fondi ad apporto, il tasso di crescita medio ponderato fino al 2024 è pari al 46%, testimonianza della buona risposta del sistema bancario.

Per quest’ultimo, l’utilizzo di fondi per apporto rappresenta una delle valide alternative per la gestione dei processi di riduzione del rischio, rispetto al fisiologico tasso di deterioramento degli affidamenti totali messi a disposizione dal sistema bancario.

Ed ora, tra conflitti e incremento dei dazi Usa, incombono nuove sfide.
«Il mercato italiano, dopo una prima fase di crescita che ha accompagnato la riduzione del debito del sistema bancario a partire dal 2015, è in una fase di maturità, anche grazie alle numerose iniziative di sostegno pubblico a favore delle banche. Il consolidamento in corso, come quello pionieristico in Italia tra doValue e Gardant, sta portando alla costituzione di un numero ristretto di grandi operatori, specializzati e in grado di investire nelle nuove tecnologie» – ha osservato ancora Briozzo.
«Su questi operatori gli investitori, le banche e anche lo Stato potranno contare per gestire le ricadute dell’attuale rallentamento economico. Un’industria specializzata come la nostra è una risorsa per il Paese: va sfruttata per minimizzare gli impatti su famiglie o imprese che possano trovarsi in difficoltà».