In una semestrale da record, Intesa Sanpaolo (ISP) fa ancora un passo avanti verso il suo obiettivo di banca a «zero Npl». L’istituto guidato da Carlo Messina ha chiuso i primi sei mesi dell’anno con un utile netto di €5,216 miliardi, in crescita del 9,4% rispetto ai €4,766 miliardi dello stesso periodo del 2024.
Il margine di interesse si attesta a €7,432 miliardi, in calo del 6,8% rispetto ai €7,975 miliardi dello scorso anno, mentre le commissioni nette crescono del 4,7% a €4,884 miliardi. Un dato che conferma il crescente peso delle attività legate al wealth management, protection & advisory nel mix dei ricavi. Il più grande istituto di credito della penisola conferma così la sua rotta strategica, spostando il proprio modello di business dall’attività tradizionale di intermediazione creditizia a un modello più orientato alle commissioni.
Nel secondo trimestre, ISP è riuscita a guadagnare anche dalla volatilità dei mercati, causata dalla nuova amministrazione americana. In particolare, la banca di Messina ha registrato – segnala il Corriere della Sera – un autentico boom nelle commissioni da intermediazione e collocamento titoli (+27,7%), dovuto alla rotazione dei portafogli in seguito alla volatilità di listino causata dal Liberation Day di Donald Trump.
Gli azionisti del gruppo si apprestano a beneficiare di conti così favorevoli. Nel semestre sono maturati circa €3,7 miliardi di dividendi, di cui €3,2 miliardi come acconto che saranno distribuiti a novembre, a cui si aggiunge il buyback da €2 miliardi avviato a giugno 2025.
Sulla scia dei risultati, Intesa Sanpaolo ha anche rivisto al rialzo la guidance per l’intero 2025, prevedendo un utile netto «ben oltre i 9 miliardi di euro», includendo azioni gestionali previste per il quarto trimestre, finalizzate a consolidare la sostenibilità dei risultati futuri.
In questo scenario si colloca, appunto, anche la strategia di de-risking portata avanti dal management. Tra gli elementi chiave c’è da segnalare la drastica riduzione del profilo di rischio, con un taglio dello stock di crediti deteriorati di €5,4 miliardi dal 2022 al primo semestre 2025. L’incidenza dei crediti deteriorati sui crediti complessivi si colloca ora all’1,2% al netto delle rettifiche e al 2,3% al lordo. Secondo la metodologia dell’Eba, questi valori sono ancora più bassi e pari rispettivamente all’1% e al 2%.
Il costo del rischio annualizzato è pari a 24 centesimi di punto, e i crediti della controllata russa sono ormai prossimi allo zero. I conti del semestre sono stati anche l’occasione per ribadire la posizione della banca rispetto al consolidamento del settore. Quello che avviene in Italia – ha sottolineato Messina – «ho avuto modo di definirlo come un far west e posso dire che non mi piace», sottolineando che lo stile di Intesa Sanpaolo è «completamente diverso».
Se da un lato il gruppo si tira fuori dal risiko, anche per ragioni di antitrust, dall’altro però è interessato a portare avanti una campagna di «acquisizione» di quelle persone, in particolare nel private banking, che «non vogliono più lavorare con realtà di medie dimensioni, ma vogliono trovarsi in una struttura a tripla A».