Il futuro scritto nei piani di ristrutturazione può molto spesso non verificarsi nei termini esatti ed essere riscritto, ma nei migliori casi la realtà ex post può avvicinarglisi molto.
Ma cosa succede al credito verso un’impresa che supera lo stato di UTP? In altre parole, l’azienda riesce davvero a crearselo un futuro in bonis ed a quali condizioni?
Cominciamo con il ricordare quello che bancariamente occorre, o almeno per la vigilanza prudenziale, per ritornare ad un futuro in bonis. L’intermediario dopo aver contrattualizzato un intervento di ristrutturazione “targa” il proprio credito come forborne exposure. Questa targatura rimane obbligatoriamente per 12 mesi (c.d. cure period), dopo dei quali il credito può essere “promosso” a forborne performing exposure previa verifica dell’avveramento delle seguenti condizioni:
- sono venuti meno i presupposti originari della classificazione ad UTP e non ne sono sopraggiunti di ulteriori;
- non sussistano eventi di default, scaduti e motivazioni per le quali sia prudente apportare maggiorazioni alle rettifiche di valore, come ad esempio avvisaglie di una probabile imminente futura inadempienza ai nuovi termini contrattualizzati;
- regolare rimborso:
- almeno pari al totale di tutti gli importi precedentemente scaduti (se presenti alla data di riconoscimento delle misure di concessione);
- o all’importo oggetto di cancellazione nell’ambito delle misure di forbearance (in assenza di importi scaduti);
- o comunque, in alternativa, una oggettiva dimostrazione della capacità di conformarsi alle condizioni fissate per il periodo successivo al riconoscimento delle misure.
Il ritorno al futuro in bonis, dopo il precedente passaggio di categoria, è poi ammesso qualora:
- siano trascorsi almeno 24 mesi (c.d. probation period) dalla targatura forborne;
- non vi siano sconfini e scaduti al termine del probation da oltre 30 giorni e contestualmente non sussistono preoccupazioni sulla capacità del debitore di adempiere regolarmente alle obbligazioni;
- per almeno 12 mesi (metà del probation) il debitore ha pagato un ammontare non insignificante, almeno il 5%, di capitale e interessi (more than insignificant) rispetto all’esposizione ante misure.
Se ci soffermiamo sui requisiti e le tempistiche è intuitivo comprendere come l’authority, delineando un arco temporale sufficientemente esteso per monitorare la riacquisita capacità di rimborso in termini non trascurabili, punti ad evitare classificazioni in bonis premature e potenzialmente foriere di ritorni ad un passato problematico.
Tornando ora alla domanda di fondo iniziale proviamo a comprendere presente e futuro di una esposizione riclassificata in bonis. L’uscita dal credito deteriorato non sempre avviene di pari passo alla conclusione del piano di risanamento o dell’accordo di ristrutturazione, che solitamente abbraccia archi temporali più lunghi di 24 mesi.
Molto di frequente l’azienda è quindi ancora vincolata, insieme ai propri creditori finanziari, ad un accordo interbancario che da un lato le permette di beneficiare ancora di uno stand still sul breve termine e di tassi di remunerazione del debito “calmierati”, ma di contro le impedisce, altrettanto spesso, di contrarre ulteriore indebitamento disponendo a garanzia il proprio attivo patrimoniale.
Tuttavia, per finanziare quella crescita e discontinuità funzionali al pieno superamento della crisi, aumentano i fabbisogni di capex e circolante. Occorre quindi tornare sul mercato per attrarre nuovi e ulteriori capitali. Ad oggi le aziende reperforming cominciano a rappresentare una nuova asset class, ma un mercato di operatori specializzati con focus su questo target deve ancora crearsi.
Il sistema bancario tradizionale rimane restio nel concedere nuovi affidamenti a società che hanno underperformato in passato e sono state oggetto di ristrutturazioni dell’indebitamento, mentre i player specializzati nelle special situation e nel distressed approcciano cautamente questo tipo di prospect. Per questi ultimi infatti occorre soppesare attentamente la combinazione rischio rendimento dell’impiego per diverse ragioni:
- il piano originario può non contemplare finanza ulteriore e pertanto nuovi interventi potrebbero non beneficiare delle protezioni associate agli usuali contesti protetti dal Codice della Crisi;
- l’acquisto del credito in essere potrebbe riflettere aspettative di elevata recuperabilità da parte dei creditori già al tavolo, limitando le possibilità di sconto prezzo e portando le attese verso un rifinanziamento “alla pari”;
- il pricing può risultare molto sfidante competendo con i tassi calmierati contrattualizzati con le misure di forbearance e scontrandosi con le aspettative da parte del debitore, che riflettono già un maggior, seppur non sempre del tutto ritrovato, merito di credito;
- l’assenza di eventi di default rende collaterali come l’immobiliare meno appetibili considerando i tempi potenzialmente lunghi per effettuare un intervento di remarketing post escussione.
Investire in crediti che tornano a performare è senz’altro una sfida molto importante per lo specialized lending, rappresentando per gli operatori una minor remunerazione del proprio capitale nell’assunto di disporre effettivamente di impieghi di maggior qualità.
Occorrono capacità di analisi molto approfondite per comprendere la tenuta prospettica della nuova capacità di indebitamento dell’impresa risanata ed apprezzare il rilancio del business ed una reale discontinuità con la passata non performante gestione.
Creare un futuro in bonis per le aziende che cominciano a superare le proprie difficoltà significa quindi anche creare gli operatori del futuro capaci di cogliere questa opportunità che assume crescente rilevanza anche per un nuovo sviluppo del sistema Paese, che conta un numero sempre maggiore di imprese impegnate in percorsi di turnaround.