Debito globale: ha ripreso a crescere spinto dalla nuova politica Usa

Secondo un report dell’IIF ha raggiunto nel mondo a fine marzo la cifra di $324mila miliardi, $7500 miliardi in più in appena tre mesi

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Il debito accumulato nel mondo intero, a carico di Stati, imprese e famiglie, è tornato a crescere e, a fine marzo, aveva raggiunto la cifra di 324mila miliardi di dollari. Lo segnala l’Institute of International Finance (IIF) attraverso il suo Global Debt Monitor, secondo il quale il debito globale è aumentato di 7.500 miliardi in appena tre mesi.

È pur vero che, in gran parte, l’aumento dell’aggregato è dovuto al deprezzamento del dollaro nei confronti delle altre valute, fenomeno che ha determinato la dilatazione dei debiti delle principali economie extra-USA. E se Cina, Francia e Germania sono le principali artefici della crescita, l’attenzione in chiave futura – spiega un lungo articolo de Il Sole 24 Ore – è invece stavolta puntata tutta sugli Stati Uniti, «i cui conti pubblici sembrano assumere le sembianze di una vera e propria mina vagante per gli anni a venire. A maggior ragione quando si considerano le politiche che la nuova amministrazione guidata da Donald Trump è intenzionata a portare avanti, passate al setaccio in modo davvero circostanziato e a tratti anche impietoso all’interno del report».

Gli analisti di IIF parlano senza mezze misure di «traiettoria allarmante» quando si riferiscono al debito governativo made in USA e invitano ad «allacciare le cinture» in previsione di una volatilità che rischia di investire i Treasury e non soltanto.

Tutto nasce dall’intenzione della Casa Bianca di estendere i tagli fiscali già attuati nel 2017 e di aggiungere ulteriori agevolazioni. Se queste disposizioni di bilancio estremamente espansive dovessero essere prorogate a tempo indeterminato, senza al tempo stesso adottare misure compensative in entrata, il debito pubblico degli Stati Uniti potrebbe, secondo le proiezioni dell’Ufficio di bilancio del Congresso (CBO), salire dall’attuale livello attorno al 100% del PIL a quasi il 130% entro il 2034 e balzare addirittura oltre il 180% nel 2044. E con cifre simili, stima IIF, il governo avrebbe bisogno di prendere a prestito altri 7.200 miliardi in 10 anni: un aumento brusco dell’offerta di titoli del Tesoro che eserciterebbe una pressione al rialzo sui rendimenti e inciderebbe così in modo significativo sulla quella spesa per interessi che già si attesta al 3,1% del Pil.

Le misure compensative immaginate dalla nuova amministrazione USA non convincono gli analisti dell’IIF, a cominciare dalla stessa controversa introduzione di dazi all’import e dai tagli alle spese della pubblica amministrazione. «Queste misure – ha sottolineato il report – hanno finora sollevato più interrogativi che fiducia riguardo alla loro efficacia come strumenti credibili di stabilizzazione del debito». E in particolare «una tariffa applicata su base universale del 10% potrebbe raccogliere circa 1.700 miliardi entro il 2034 e coprire quindi appena il 20% circa dell’aumento previsto del fabbisogno di finanziamento del governo derivante dall’estensione permanente dei tagli e dalle nuove esenzioni fiscali».

Resta poi il legittimo dubbio – sottolinea l’articolo – che l’imposizione dei dazi possa addirittura rischiare, in ultima analisi, di ridurre le entrate del governo, qualora dovesse innescare ritorsioni da parte degli altri Paesi. La conclusione è univoca: in aggiunta al premio che gli investitori stanno richiedendo sui Treasury statunitensi, non è da escludere un ulteriore aumento della volatilità nei prossimi mesi.