Crediti UTP, è l’ora del private capital

In futuro per i maggiori flussi in entrata di crediti utp, potrebbe crescere il ruolo di gestione alternativa dei portafogli deteriorati. Gli attori del private capital possono favorire progetti di riaggregazione o il riassorbimento di aziende non risanabili

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Rifluita (per le banche) l’ondata delle sofferenze sta per arrivare quella degli Utp che apre nuove prospettive agli operatori di private capital. Negli ultimi sette anni il sistema bancario italiano ha realizzato uno straordinario deleveraging con una riduzione del 70% degli stock di credito deteriorato (NPE) rispetto al picco di 340 mld di euro raggiunto nel 2015. Il deleveraging ha peraltro interessato principalmente le sofferenze rispetto agli unlikely-to-pay (UTP) i cui stock nei bilanci delle banche già dal 2021 hanno superato quelli delle sofferenze. Inoltre, merita un’attenta riflessione il significativo aumento dei crediti classificati a Stage 2 (crediti in bonis con rischio elevato) che hanno raggiunto a fine 2021 i 280 mld di euro con il rischio di un degrado di una componente rilevante a UTP.

Nei prossimi mesi sarà quindi necessario affrontare il previsto aumento dei flussi in entrata degli UTP supportando le imprese in crisi, anche accettando una fuoriuscita “guidata” di quelle non più in grado di competere, ma soprattutto facilitando un adeguato flusso di risorse di debito e/o di capitale per quelle “risanabili”.

È un obiettivo che può essere centrato coinvolgendo maggiormente fondi private di debito ed equity sempreché gli originator di quei crediti ne rendano possibile l’intervento offrendo, ad esempio, portafogli selezionati di dimensioni più ridotte rispetto a quelle monstre cui siamo stati abituati in questi anni nel comparto degli NPL

Anche per gli UTP (e per gli Stage 2 high risk) è necessario un mercato ed una industria di gestione consolidata, intesa come ecosistema degli attori coinvolti, numero degli investitori di debito e di equity pre-distressed e distressed, volumi di secondario transati. Anche se il contributo di alcuni servicer specializzati nel comparto UTP va nella giusta direzione, il mercato per questa asset class non è ancora decollato. Il perché è presto detto. Gli UTP sono un asset class complessa la cui gestione richiede competenze specialistiche diversificate (di credito, di Private Equity, legali) ed un approccio coordinato da parte dei creditori spesso complicato dalla frammentazione delle esposizioni.

Il ritorno in bonis dell’azienda ed il conseguente recupero del valore del credito distressed in estrema sintesi passa attraverso la capacità di elaborazione/interpretazione del Piano di Risanamento dell’azienda in crisi e la capacità di reperire le nuove risorse finanziarie per l’implementazione di tale Piano.

Storicamente il comparto degli UTP è stato gestito dalle divisioni interne di restructuring delle banche. Successivamente è emersa la consapevolezza che una gestione interna come modalità esclusiva non è sempre ottimale per:

a) gli assorbimenti di capitali indotti dal calendar provisioning;

b) gli impatti sui carichi di lavoro generati dagli aumenti dei flussi di deteriorato;

c) l’opportunità di coinvolgere di volta in volta investitori specializzati che siano in grado di portare valore aggiunto su strategie e aspetti gestionali per rilanciare le aziende in crisi.

Le prime soluzioni di gestione alternativa a quelle tradizionali sono emerse nel 2015/16 con la nascita delle cosiddette “piattaforme” che offrono, principalmente tramite fondi di credito ad apporto multi-originator:

a) un modello più incisivo, discontinuo e proattivo rispetto alla gestione interna;

b) nuova finanza di origine non bancaria

c) una condivisione con le banche cedenti e gli altri stakeholder coinvolti dei risultati economici del successo del turnaround degli asset.

Le prime iniziative furono quelle di Pillarstone (grazie anche all’illuminata sponsorizzazione di Intesa Sanpaolo e Unicredit che a fine 2015 trasferirono crediti UTP per euro 1 mld ai quali seguirono negli anni seguenti trasferimenti anche da altre banche per circa ulteriori 1 mld di euro) ed i tre FIA di DEA Capital.

Successivamente si sono aggiunte Oxy Capital Italia, CRF di Clessidra Capital Credit, il Fondo ICCT di Illimity, iniziative rivolte al comparto immobiliare come Aurora Recovery Capital (oggi in integrazione con Neprix, servicer di Illimity Bank), il Fondo Back2Bonis di Prelios ed altre. Solo recentemente AMCO e alcune Challenger Bank (Solution Bank, Banca Ifis, Illimity Bank) e Fondi di Private Debt (AZ ELTIF gestito da Muzinich) hanno iniziato ad offrire, in contesti single name, nuova finanza antergata nell’ambito di procedure di ristrutturazione (rescue financing). L’offerta di risorse finanziarie super-senior per favorire un percorso di uscita dalla crisi può prevedere in parallelo un acquisto di crediti bancari a sconto alternativamente:

a) in una logica non control, con l’obiettivo di generare nel tempo un pull-to-par capital gain sul credito acquistato quando, superata la crisi, l’impresa si rifinanzia sul mercato (Triton Debt Opportunities Fund) ovvero

b) in una logica loan-to-own, con l’obiettivo di rilevare e convertire a capitale la maggioranza dei crediti distressed dell’impresa per condizionarne il percorso di recupero di valore.

Infine, decisamente minore rispetto a quanto avviene in altri Paesi è stato il ruolo degli operatori di Private Equity Distressed che intervengono in aumento di capitale per fornire le risorse per il turnaround ed il rilancio delle imprese. Soprattutto nel comparto corporate, ancora pochi sono gli attori presenti (QuattroR, Itaca Equity, HIG, Aurelius, Ibla Capital) e assolutamente inadeguato il fund raising complessivo disponibile.

Da quanto sopra appare evidente che all’industria di gestione degli UTP oggi serve un cambio di passo per affrontare le sfide relative ai nuovi flussi attesi di UTP nei prossimi due anni. Vuoi per la scadenza dei periodi di preammortamento dei finanziamenti del Fondo Centrale di Garanzia erogati nel post pandemia. E in parte in conseguenza degli impatti sulle imprese del costo dell’energia a valle del conflitto in Ucraina.

Il cambio di passo che si potrebbe ottenere se le banche originator degli UTP (e Stage 2 high risk):

  1. si focalizzassero sull’obiettivo primario di limitarne i flussi in entrata, anticipando la scelta della strategia di gestione più appropriata (interna, trasferimento a piattaforme con schemi di partnership, cessione straight sale di posizioni singole) ai primi sintomi di crisi del debitore;
  2. facessero uno sforzo addizionale per “utilizzare il mercato” del Private Capital per operazioni di cessione single name o di piccoli portafogli omogenei, piuttosto che concentrarsi prevalentemente sulla cessione massiva dello stock di credito deteriorato esistente. Per muoversi in questa direzione è necessario allargare la platea dei nuovi investitori da attrarre nel mondo degli UTP (e Stage 2 high risk) partendo da una profonda comprensione dei rispettivi posizionamenti, strategie d’investimento, combinazioni di rischio/rendimento attese. Le banche originator (o i servicer che le supportano) dovrebbero investire, anche in termini organizzativi, su una capacità d’individuazione, selezione e coinvolgimento in modo strutturato e continuativo di Fondi di Distressed Debt o Distressed Equity, previlegiando chi è in grado, per competenze e track record, di valutare la potenzialità industriale delle imprese in crisi e apportare nuove risorse per favorirne il rilancio. Gli operatori di Private Capital coinvolti potranno infine agire non solo nel ruolo di cavalieri bianchi in singole situazioni critiche ma anche favorire progetti di aggregazione nelle filiere produttive per sostenere la competitività delle PMI ed in alcuni casi per facilitare l’assorbimento delle imprese “non risanabili”.