È possibile omologare un concordato preventivo in continuità aziendale, nonostante il voto contrario dei creditori, e ricorrere al cram down fiscale anche se la proposta era anteriore all’entrata in vigore del terzo correttivo del Codice della crisi (Dlgs 136/2024), che l’ha espressamente prevista.
Lo ha chiarito – scrive Il Sole 24 Ore – il Tribunale di Napoli, con la sentenza del 14 novembre 2024. Il giudice ha innanzitutto affermato, in merito alla disciplina del cram down, che, al caso in esame, non andava applicato quanto previsto dall’articolo 88 del Codice della crisi così come modificato dal terzo decreto correttivo (Dlgs 136/2024), poiché la proposta di transazione era stata presentata, contestualmente alla proposta di concordato, anteriormente all’entrata in vigore di tale decreto (28 settembre 2024), il cui articolo 56 stabilisce, appunto, che le nuove disposizioni si applicano solo alle proposte di transazione presentate a partire da tale data.
Ciò precisato, il Tribunale ha ribadito, in contrasto con il prevalente indirizzo giurisprudenziale, che anche prima del decreto correttivo nel concordato in continuità il cram down non era precluso dal disposto del comma 2-bis del citato articolo 88, applicabile alle proposte di transazione presentate sino alla data del 27 settembre 2024.
In un altro articolo lo stesso giornale fa presente che l’articolo di legge relativo al cram down, così com’è scritto, reca con sé un possibile contrasto interpretativo. «Il nuovo articolo 88, comma 4, del Codice della crisi stabilisce chiaramente che il tribunale può disporre l’omologazione forzosa anche nel concordato in continuità, quando l’adesione dei creditori pubblici è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi oppure se la stessa maggioranza è raggiunta escludendo il voto di tali creditori». L’uso di quel ‘oppure’ rischia però di generare nuove incertezze sugli effetti del provvedimento del tribunale sul voto.
Gli effetti del cram down possono essere infatti due: o la conversione del voto negativo dei creditori pubblici in un voto positivo o l’esclusione di tale voto dal calcolo della maggioranza.
«La differenza – fa presente il quotidiano – non è di poco conto, perché se, ad esempio, su cinque classi due hanno espresso un voto favorevole e tre, tra le quali quella relativa ai crediti tributari, un voto contrario, applicando il criterio della conversione, il voto della classe del Fisco è da intendersi favorevole e quindi la maggioranza viene raggiunta con il voto positivo di tre classi su due; con il criterio dell’esclusione, invece, la maggioranza non è raggiunta poiché, a fronte di due voti negativi, solo due sono da intendersi positivi».