La composizione negoziata raddoppia e lo fa con forza: sono 905 le istanze presentate dalle imprese negli ultimi sei mesi, più del doppio rispetto al periodo novembre 2024 – maggio 2025, quando se ne contavano 410.
Dall’introduzione dello strumento nel novembre 2021, le richieste hanno ormai sfiorato quota 3.000, confermando l’interesse crescente delle aziende italiane verso questo meccanismo di risanamento volontario.
L’Osservatorio semestrale di Unioncamere restituisce un’immagine dinamica e incoraggiante della composizione negoziata, evidenziando non solo l’impennata delle richieste, ma anche un significativo aumento dei casi di successo: «295 a maggio, 90 in più rispetto a novembre 2024», con un tasso di successo nel primo trimestre 2025 che raggiunge il 22,5%.
A tirare le somme è il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che sottolinea come «la composizione negoziata sta cominciando a mostrare tutte le sue potenzialità: le istanze e i casi di successo sono in costante aumento e interessano sempre più imprese di maggiori dimensioni con fatturati e numero di lavoratori importanti».
Tuttavia, l’allargamento dello strumento alle realtà più piccole resta una sfida aperta: «bisogna operare però affinché anche le imprese più piccole possano cogliere maggiormente le opportunità fornite da questo strumento. E per questo occorre anche far crescere la cultura finanziaria delle Pmi».
A livello geografico, è la Lombardia a guidare la classifica con il 24% delle istanze, seguita da Lazio (10,5%), Emilia-Romagna (10,1%) e Veneto (9,1%). Sul fronte dei settori, prevalgono i servizi e la manifattura, a conferma che lo strumento intercetta le imprese più dinamiche dell’economia reale.
Quanto ai risultati, le regioni del Nord registrano il maggior numero di esiti positivi (23,9%), ma anche il Sud sta migliorando, con un balzo del tasso di successo dal 12,5% del maggio 2024 al 17,9% attuale.
La composizione negoziata, però, non è per tutti uguale. Funziona meglio – osserva Unioncamere – se ad attivarla è un’impresa strutturata: le aziende che concludono con esito positivo sono mediamente più grandi, con 53,4 dipendenti contro i 27,5 delle imprese con esito negativo, e un attivo di bilancio di 33 milioni rispetto ai 9 milioni delle altre.
A pesare, per le più piccole, è una combinazione di fattori: cultura finanziaria più debole, mancanza di assetti organizzativi adeguati, minor attenzione da parte degli advisor e degli intermediari finanziari.
Altro elemento cruciale è il tempismo: chi si muove subito ha più chance. Le imprese che si trovavano in sofferenza solo dal mese precedente alla presentazione dell’istanza hanno avuto un esito positivo nel 30,5% dei casi, mentre tra quelle in difficoltà da oltre cinque anni la percentuale si ferma all’11,5%.