Tassi zero: la fine di un’era

I tassi d’interesse nominali e reali dei principali Paesi hanno registrato una tendenza al ribasso dal 1992. Inoltre, analisi complete che coprono sette secoli di dati hanno individuato un declino graduale ma persistente dal Rinascimento

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Jeffrey Frankel, docente di Capital Formation e Growth all'Harvard University

Che differenza fanno due anni. Nel 2021, quando i tassi di interesse erano prossimi allo zero negli Stati Uniti e nel Regno Unito e leggermente negativi nell’Eurozona e in Giappone, l’opinione generale era che sarebbero rimasti bassi a tempo indeterminato. Sorprendentemente, ancora nel gennaio 2022, gli investitori stimavano solo al 12%, al 4% e al 7% la probabilità che i tassi superassero il 4% entro cinque anni rispettivamente negli Stati Uniti, nell’Eurozona e nel Regno Unito. Al netto dell’inflazione prevista, i tassi di interesse reali erano negativi e si prevedeva che sarebbero rimasti tali.

Infatti, nonostante l’aggressiva stretta monetaria della Federal Reserve statunitense e di altre banche centrali, i tassi di interesse reali sono rimasti significativamente negativi fino alla fine del 2022. Inoltre, i tassi a lungo termine sono aumentati più moderatamente rispetto a quelli a breve termine: nell’ottobre 2022, la curva dei rendimenti si era invertita, segnalando che i mercati finanziari si aspettavano una riduzione dei tassi a breve da parte delle banche centrali nel prossimo futuro. Questo sentimento derivava dalla diffusa aspettativa che l’economia statunitense e quella mondiale sarebbero entrate in recessione.

La Fed ha recentemente aumentato il tasso di riferimento al 5,25%. Negli Stati Uniti e in molti altri Paesi, anche i tassi di interesse reali sono passati in territorio positivo. E ora che gli Stati Uniti sembrano aver evitato la recessione, i tassi probabilmente resteranno per un po’ ben al di sopra dello zero.

Nel 2021, alcuni economisti monetari ritenevano che il tasso di interesse reale “neutrale” fosse sceso sotto lo zero. Questo spostamento era ampiamente considerato come un fenomeno di lungo periodo, con l’eccezione di occasionali fluttuazioni cicliche, come i picchi dei tassi d’interesse durante periodi di politica fiscale insolitamente espansiva. Dato l’obiettivo della Fed di un’inflazione al 2%, il tasso di interesse reale pari a zero sembrava implicare che il tasso di interesse nominale di equilibrio sarebbe dovuto scendere in media sotto il 2%. Ma i tassi di interesse nominali statunitensi non possono scendere in territorio negativo, a causa del cosiddetto zero lower bound (il “tasso zero” sotto il quale tale strumento diventa non più utilizzabile per una politica monetaria espansiva, ndr).

In Europa e in Giappone, i tassi di interesse nominali sono scesi lievemente sotto lo zero, fino a -0,5%. Questo era il limite inferiore effettivo. Se il tasso di interesse reale di equilibrio fosse negativo e il limite inferiore effettivo dei tassi nominali fosse prossimo allo zero, l’economia globale sarebbe in grave difficoltà. In tali condizioni, la politica monetaria sarebbe spesso troppo restrittiva per raggiungere il tasso di equilibrio della crescita del PIL. La responsabilità di mantenere la piena occupazione dovrebbe quindi tornare all’azione fiscale, cosa spesso politicamente difficile. Questo scenario è l’ipotesi della “stagnazione secolare”, resa popolare dall’ex Segretario del Tesoro statunitense Lawrence H. Summers nel 2013.

Per quanto riguarda la politica fiscale, un aspetto positivo dei tassi di interesse reali cronicamente bassi è che rendono più sostenibili livelli elevati di debito pubblico. I governi potrebbero operare con disavanzi primari di bilancio (che escludono i pagamenti degli interessi) e gestire comunque il debito, che diminuirebbe rispetto al PIL nel tempo. Con l’aumento dei tassi di interesse, tuttavia, il debito degli Stati Uniti è improvvisamente tornato a essere un problema. Si prevede che il rapporto debito/PIL riprenda da qui in avanti il suo percorso ascendente. Questo è stato uno dei motivi per cui il 1° agosto Fitch Ratings ha declassato il debito degli Stati Uniti dal suo rating AAA di lunga data. L’aumento globale dei tassi d’interesse reali ha anche aggravato i problemi del debito altrove, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

Nel 2021, sia gli investitori che gli economisti potevano essere perdonati per aver creduto che i tassi di interesse di equilibrio si fossero assestati vicino allo zero per il prossimo futuro. Dopo tutto, i tassi a breve termine negli Stati Uniti erano stati vicini allo zero per nove dei 13 anni precedenti, dal 2009 al 2015 e di nuovo dal 2020-21. Allo stesso modo, i tassi di interesse nell’Eurozona sono stati pari o inferiori all’1% dal 2009 e sono scesi sotto lo zero nel 2015. In Giappone, i tassi di interesse sono rimasti sotto lo 0,5% dal 1996. Periodi così prolungati di tassi bassi non si osservavano dai tempi della Grande Depressione.

I tassi d’interesse nominali e reali dei principali Paesi hanno registrato una tendenza al ribasso almeno dal 1992. Inoltre, analisi complete che coprono sette secoli di dati sui tassi di interesse reali a lungo termine hanno individuato un declino graduale ma persistente dal Rinascimento, pari a circa 1,2 punti percentuali per secolo.

Tra le possibili spiegazioni del calo dei tassi di interesse reali vi sono il rallentamento della crescita della produttività, i cambiamenti demografici, la crescente domanda globale di beni sicuri e liquidi, l’aumento delle disuguaglianze, il calo dei prezzi dei beni capitali, e la carenza di risparmio proveniente dall’Asia orientale. Altri fattori, come l’allungamento della vita e la riduzione dei costi di transazione, potrebbero contribuire a spiegare perché i tassi reali sono in calo da secoli.

Di certo, gli economisti di spicco non hanno escluso la possibilità di futuri aumenti dei tassi di interesse. Tuttavia, pur riconoscendo la possibilità di picchi periodici, molti consideravano tali aumenti improbabili nel breve termine e transitori nel lungo periodo. Nel 2018, Summers ha sostenuto che gli Stati Uniti “probabilmente avranno, secondo gli standard storici, tassi molto bassi per un’ampia parte del tempo a venire, anche in periodi di congiuntura economica favorevole”. Nel 2020, insieme a Jason Furman, Summers ha ribadito che “i tassi di interesse reali dovrebbero rimanere negativi”. Nel giugno 2022, l’ex capo economista del FMI Olivier Blanchard ha osservato che “il lungo declino dei tassi di interesse sicuri deriva da profondi fattori di fondo che non sembrano destinati a invertirsi presto”.

I tassi di interesse nominali a breve termine sono ora superiori al 5%, e i tassi di interesse reali sono tornati in territorio positivo. Sebbene alcuni monetaristi si aspettino ancora che i tassi tornino a zero, è possibile che siano stati eccessivamente influenzati dai drammatici spostamenti del 2008-21. Dopo tutto, la prospettiva che i tassi di interesse di equilibrio raggiungano lo zero o il territorio negativo era quasi impensabile prima della crisi finanziaria globale del 2008 (almeno al di fuori del Giappone).

Pur non potendo prevedere il futuro, sono scettico sul fatto che i tassi di interesse tornino a zero in tempi brevi. Se questa valutazione fosse corretta, sarebbe di buon auspicio per la politica monetaria, che sarebbe meno vincolata rispetto al passato. Ma i tassi d’interesse reali elevati sono una cattiva notizia per i responsabili delle politiche fiscali, che potrebbero trovarsi ancora una volta vincolati da rapporti debito/PIL insostenibili.

Fonte ®PS