La sfida della transizione energetica in tempi di crisi

Oggi si chiede alla politica di favorire un modello energetico che ci renda più indipendenti e più green, e alla finanza di premiare le imprese virtuose nella transizione energetica, proponendo nuove soluzioni rispetto al passato

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Il credito è il propellente che può aiutare anche la transizione energetica del Paese. Con l’Italia che, fino a poco tempo fa, esibiva tassi di crescita economica fra i più alti in Europa parlare di crisi può risultare controverso, ma l’inflazione rimane a livelli che avevamo dimenticato da tempo e i tassi di interesse continuano a salire. È indubbio che la spinta all’inflazione sia dipesa dai rialzi dei prezzi del gas e dell’energia scatenati dall’offensiva russa in Ucraina, mettendo in luce una vulnerabilità dell’Europa e, in particolare, del nostro Paese.

Il prezzo dell’energia salito alle stelle ha messo in ginocchio interi settori economici, ha richiesto interventi pubblici massivi e ha compromesso in alcuni casi la qualità del credito. Gli effetti sulla classificazione delle esposizioni creditizie delle banche italiane non sono risultati immediatamente visibili, ma un impatto sul livello dei crediti di “Stage 2”, ovvero quelli che evidenziano un significativo incremento del rischio creditizio, si inizia a riscontrare. D’altra parte il prezzo dell’energia salito fino a dieci volte nel momento più critico ha restituito al Paese una maggiore consapevolezza e sensibilità sulla necessità di rivedere le politiche energetiche e di riconsiderare i fabbisogni alla luce della sostenibilità. Sulla spinta dell’emergenza il Regolatore si è attivato agevolando e semplificando alcuni processi e in molti hanno iniziato a considerare interventi per ridurre stabilmente il costo delle forniture elettriche. Incidentalmente queste dinamiche ci avvicinano agli obiettivi di decarbonizzazione fissati dall’Ue al 2030.

In questo scenario viene chiesto alla politica di favorire un modello energetico che ci renda più indipendenti e più green, mentre alla finanza viene chiesto di premiare le imprese virtuose nella transizione energetica, e di sostenere gli oltre 100 miliardi di euro di investimenti che l’Italia attende nel settore entro il 2030.

La sfida per il mondo del credito è duplice. Da un lato il sostegno finanziario alla transizione energetica richiede risorse nel lungo termine per realizzare infrastrutture, costruire impianti produttivi, sviluppare nuove tecnologie e introdurre efficienze di processo. Investimenti destinati a portare benefici e quindi ritorni nel tempo, più che nell’immediato. In un mercato che non conosce più gli incentivi alla produzione dei quali hanno beneficiato le fonti rinnovabili e che sempre più si affida a innovazioni tecnologiche, la finanza di lungo termine si confronta con rischi di mercato non facili da valutare, che vanno poi remunerati. D’altra parte anche premiare le imprese virtuose può risultare complesso, perché con un costo del denaro così elevato facilmente gli imprenditori avranno priorità distanti dalla sostenibilità. Ecco allora che la finanza non deve solo rispondere a una chiamata facendo ciò che ha imparato a fare in passato, ma deve andare oltre, deve guardare avanti e proporre soluzioni differenti, compatibili con la sfida del momento.

Le varie forme della finanza agevolata, basate sul PNRR ma non solo, offriranno importanti risorse che il sistema finanziario dovrà aiutare ad impiegare, disegnando prodotti specifici e percorsi replicabili. In particolare la finanza agevolata dovrà fare da sponda al credito nel finanziamento all’innovazione, e alle infrastrutture laddove mancasse una adeguata domanda. È questo il caso ad esempio della mobilità elettrica, dove sarà importante accompagnare lo sviluppo della rete di ricarica evitando di lasciare indietro alcune aree del Paese. L’esperienza del settore fotovoltaico, inizialmente inondato di incentivi pubblici costosi, poi abbandonato al suo destino con intere filiere produttive in crisi, ci ha insegnato che la finanza pubblica deve mirare a rafforzare il sistema industriale e creare una filiera che possa crescere nel tempo e rafforzarsi puntando sull’innovazione, laddove al credito spetta individuare e accompagnare le iniziative migliori.

Diverso è il caso delle tecnologie oggi consolidate per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Qui gli operatori hanno modelli di investimento chiari e risorse quasi illimitate dato l’enorme interesse per il settore. Tuttavia in uno scenario di prezzi alti per l’energia ceduta al libero mercato, e costi altrettanto alti per il debito, faticano a prefigurare orizzonti ventennali per i loro piani di investimento e sono quindi alla ricerca di soluzioni flessibili. Il ruolo del credito dovrebbe essere quello di fornire forme di finanziamento a medio termine che contemplino la possibilità di cedere gli investimenti o rifinanziarli, da preferire ad alternative di lungo o lunghissimo termine che rischiano di risultare vincolanti e anche per questo onerose. D’altra parte il settore dell’energia pulita si è conquistato un ruolo nel sistema economico che non pone dubbi circa la tenuta di questi investimenti e il loro ritorno economico. C’è spazio quindi perché il sistema finanziario maturi una visione meno protettiva sul rischio industriale associato, come peraltro è già avvenuto in altri Paesi europei.

Non va dimenticato il capitolo degli impianti produttivi esistenti, della necessaria riconversione a vita futura, del salvataggio nel caso in cui abbiano avuto vicende sfortunate e siano in stato di abbandono. L’esperienza maturata nella gestione dei crediti deteriorati ci insegna che recuperare le risorse produttive in ambito energetico è quasi sempre possibile, e sempre conveniente se gli interventi sono tempestivi. Vero è che recuperare l’efficienza delle risorse produttive può risultare poco compatibile con i tempi delle vicende amministrative e delle contese giudiziali. Un occhio attento agli obiettivi di decarbonizzazione che impegnano l’Italia vedrebbe l’opportunità di pensare a un viatico affinché le risorse produttive esistenti assicurino nella sfida un contributo che non è sostituibile.

Sul fronte invece dell’efficienza energetica, ovvero della riduzione dei consumi, uno dei terreni più controversi è la riconversione degli edifici, soprattutto di quelli che ospitano un’attività d’impresa. Pensiamo a un tetto di 5.000 metri quadri che possa ospitare 800kWp di potenza fotovoltaica e produrre energia per 1.000.000 KWh/anno. Da un lato eviterebbe di immettere in atmosfera 1.200 tonnellate di CO2, dall’altro potrebbe generare ricavi dalla vendita di energia per ca. 100.000 euro/anno.

Ma supponiamo che l’impresa non sia nelle condizioni di fare questo investimento, può il credito incentivare questa decisione? Non è compito della finanza indirizzare le decisioni d’impresa, ma certamente potrebbe una finanza lungimirante promuovere strumenti che supportino tali decisioni, ad esempio creando un ponte tra l’impresa e investitori interessati a produrre energia elettrica. Una soluzione chiavi in mano che consenta di centrare l’obiettivo portando al tavolo un operatore specializzato, l’erogazione di un finanziamento, e un risparmio per l’imprenditore. Un tetto capace di produrre l’energia consumata da un’attività d’impresa è un primo passo concreto verso modelli di business sostenibili che la rivoluzione in corso ormai richiede. Rivoluzione che si affianca a quella digitale già in corso e che offre opportunità infinite, anche di rilancio, legate alla possibilità di mappare le abitudini di consumo, analizzare i fabbisogni, elaborarli per introdurre efficienze di processo e di risorse anche con il ricorso all’intelligenza artificiale. È questo un ambito a cui gli operatori finanziari presteranno certo attenzione, quale chiave di successo del business, ma dove soprattutto ci attendiamo soluzioni innovative dagli operatori che erogano servizi energetici.

“Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno
di ottenere quella realtà”

— Albert Einstein —